LA CONSAPEVOLEZZA DELL’APPARTENENZA, di Gregorio Asero

LA CONSAPEVOLEZZA DELL’APPARTENENZA

Io dico che la “consapevolezza dell’appartenenza” del luogo in cui si è nati è un fattore indispensabile e irrinunciabile per la programmazione di un modello di sviluppo di una data società o di un gruppo di persone, a patto che abbiano la stessa visione delle cose e del vivere civile, ed è, a mio avviso, l’unico presupposto che può avere una buona possibilità di successo.

Per quanto mi riguarda la presa di coscienza del luogo delle mie origini ha in me un’attrazione fortissima, forse perché suscita nel mio animo molte riflessioni sia emotive sia razionali, a cominciare dal tema legato all’autogestione del territorio. 

Sebbene la maggior parte della mia esistenza l’abbia vissuta lontano dalla mia terra nativa, non per mia scelta, non mi ci sono mai allontanato col pensiero, ma solo con il corpo, e questo mi ha permesso di non staccare mai il cordone ombelicale che mi lega ad essa. Penso che abitare nel luogo in cui si è nati, sia con il corpo che con lo spirito, sia quanto di meglio una persona possa sognare. Vivere in Sicilia, piuttosto che in Piemonte, non è quindi, un mero accidente geografico, anche se non c’è una scala di valori nel senso che un ambiente sia migliore o peggiore dell’altro, ma solo una profonda diversità.

L’errore che tutti noi in genere commettiamo è che siamo convinti di vivere in un eterno presente, senza passato e senza futuro. In questo modo non riusciamo a cogliere il legame indissolubile tra noi e l’ambiente che ci circonda. Al contrario sono convinto che ci sia una profonda comunione fisica e spirituale tra il territorio, la sua storia, i suoi talenti, le sue vocazioni, i suoi pregi e difetti, fra chi vi abita.

Io dico che, all’interno di un gruppo sociale, dovrebbe nascere spontaneo un rapporto di reciproca comunione d’intenti, dove le persone danno all’ambiente, ma nello stesso tempo dall’ambiente ricevono.

La Sicilia ha la fortuna di essere in una posizione geografica unica per la sua centralità che ha nel Mediterraneo, però essere semplicemente consapevoli di questa caratteristica peculiare non è “coscienza del luogo”, ma solo geografia.  

Se il popolo Siciliano riuscisse a comprendere l’importanza che questa posizione ha per la sua gente, per la sua cultura, per la sua storia presente e passata, sarebbe già un passo avanti per l’emancipazione sociale ed economica di tutti i Siciliani. Perché significherebbe che sta nascendo, come una Fenice, una nuova coscienza di popolo, con le radici ben piantate nel passato ma lo sguardo rivolto al futuro. 

Sebbene la Sicilia sia il cuore del Mediterraneo dobbiamo comprendere che molti lo immaginano semplicemente come luogo di transito. E allora è facile immaginare che, come tutti i luoghi di transito, i viaggiatori, dopo il loro passaggio, lasciano solo le briciole.

Per contro, ma in questo caso mi riferisco solo alle vicende dei secoli passati, la Storia ci ha insegnato, che nel corso dei secoli, questa terra ha avuto molto da chi, approdando sulle nostre coste e avendo deciso di restarci e farne anche casa sua; ha contribuito a rendere più grande e importante quest’isola e, sempre la Storia, ricorda la brutale violenza di chi, invece, ci transitava solo come predatore di passaggio.

La differenza tra chi ha solo transitato e chi ha deciso di restarci è scritta nella nostra Storia, e nella nostra immensa esposizione di opere d’arte e monumenti di incommensurabile valore e questo non lo dobbiamo assolutamente dimenticare per non perdere la nostra identità.

La “consapevolezza dell’appartenenza” ci dà, quindi, un ottimo spunto di partenza, per un ragionamento che è molto più complesso del semplice dato geografico. 

Se accettiamo, per il solo fatto di essere il centro del Mediterraneo, la tentazione di essere un’isola di passaggio, e permettiamo lo sfruttamento delle nostre risorse, accontentandoci dei rimasugli, trascurando e ignorando l’importanza della nostra Terra nello scacchiere internazionale, allora dovremmo forse chiederci come potremmo invogliare i nostri giovani a restare nella loro terra natale. 

Ed è su questa grandezza progettuale che la Sicilia appare drammaticamente indietro, quasi sorpresa dal rapidissimo evolversi delle cose del mondo. Nelle aree più sviluppate del globo, si cerca, intenzionalmente, di essere al centro della competizione; al contrario in Sicilia è forte la tentazione di rifugiarsi nelle paludi del tempo, si sta immobili e paurosi.

Senza “consapevolezza dell’appartenenza”, la cosa più banale e più stupida da fare sarebbe quella di stabilire solo un buon tributo per fare sfruttare le ricchezze del nostro territorio, ma questo atteggiamento equivarrebbe a poco più degli avanzi di un picnic frettolosamente mangiato da un’orda di turisti incivili e che non ha nessun rispetto per chi li ha ospitati. Questo è il rischio che si corre quando si programma il futuro di un popolo senza una seria programmazione. Diventiamo un luogo insulso e di conquista per gli affari di speculatori stranieri.

Con la “consapevolezza dell’appartenenza”, viceversa, si accetta la sfida di stare al centro del progresso impetuoso della Storia. Anche accettando il rischio della reciproca contaminazione, la sfida delle competenze, il rimescolamento dei geni, l’insediamento delle migliori capacità, attratte dalla Sicilia che è una specie di Paradiso Terrestre, perché luogo fecondo, carico di storia, di arte e di cultura. 

Una nuova e consapevole rivoluzione sociale; è questa che ci manca e non sappiamo esattamente come fare. Oppure lo sappiamo, ma siamo troppo pigri.

Eppure io dico che si deve fare, o si deve tentare di fare, perché questa è la nostra Storia; questa è la storia del popolo Siciliano. Accettare chi ha l’intenzione di collaborare senza volerci sottomettere e senza la pretesa di usarci come luogo di transito. 

Ma la domanda, inevitabile, da farsi, e prima di ogni altra considerazione, è: noi Siciliani abbiamo ancora la “consapevolezza dell’appartenenza” in cui abitiamo?

La risposta ai posteri.

Gregorio Asero