Alcuni dicevano che era un uomo di onore. Altri pensavano che fosse un mafioso. Lui si considerava un boss ed anche un imprenditore. Riparava i torti o almeno così diceva e così credevano alcuni, ma aveva anche una catena di hotel. Spacciava droga, aveva contatti con politici ed imprenditori altolocati. C’era un terzo livello? Ce ne erano molti altri oltre al terzo. Era un uomo devoto. Aveva molte amanti. Piaceva molto alle donne. Era sposato, nonostante tutto. Sua moglie era integerrima moralmente. Perdonava i suoi tradimenti perché pensava che ogni sera veniva a cenare a casa, veniva a mangiare in famiglia. Aveva tre figli, svegli ed intelligenti,  bravi a scuola, nonostante fossero un poco svogliati e un poco indisciplinati. Il boss incuteva timore reverenziale. Ad alcuni faceva proprio paura. Non era solo perché era un uomo corpulento e robusto ma per il suo atteggiarsi e poi per quello che rappresentava. Diciamolo francamente che era troppo sicuro di sé: una sicurezza che sfociava in presunzione, tracotanza, prepotenza. Ma aveva il suo seguito di fedelissimi. Tantissimi gli chiedevano favori ed altrettanti glieli facevano. Quel giorno aspettava una telefonata da una bella donna, mora e mediterranea come piacevano tanto a lui. Questa donna era una intellettuale. Insegnava all’università. Era una poetessa affermata. Non le aveva accennato niente. Non sapeva ancora di cosa si trattasse. L’attesa era snervante anche per un uomo di mondo come lui, così navigato ed esperto. Il fatto è che quella poetessa le piaceva così tanto. Era distante anni luce dal suo mondo. Erano quasi due rette parallele. Eppure era stata proprio lei a chiedere il suo numero. Le due rette si sarebbero forse incontrate. Una donna così onestà che cosa voleva mai da lui? Aveva tutto da perdere e niente da guadagnare. Ma il mondo è fatto di paradossi e l’umanità è colma di contraddizioni insanabili. Tutto gli sembrava così inspiegabile. Forse aveva qualche familiare malato e voleva un posto in una clinica privata a basso costo. Sicuramente voleva un favore ma di che tipo? Mentre si arrovellava e si lambiccava il cervello all’improvviso ci fu lo squillo del cellulare. Rispose. Era lei. Presero un appuntamento perché lei voleva parlargli a quattro occhi. L’appuntamento era per le 18 di quella sera. 

Lei era una poetessa affermata. Aveva fatto il liceo classico, si era laureata in lettere, quindi dottorato, poi alcuni master. Era una mente brillante. Arguta e polemica riusciva a primeggiare sempre. Affascinava tutti. Alcuni la amavano ed altri la amavano. Anche lei aveva molti seguaci. Era sulla quarantina. A volte si immalinconiva per il tempo che passava, per i primi capelli bianchi, per le prime rughe, ma era solo un istante e nulla più. Pensava anche che era bella, che ogni anno vinceva premi letterari importanti, che ogni anno pubblicava un libro con una grande casa editrice. Era lei la migliore. Era impareggiabile. Non poteva temere alcun confronto. L’unico neo per alcuni invidiosi e maligni era che lei pensasse la letteratura come un agone, una lotta tra competenti ed incompetenti, tra talentuosi e mediocri, tra originali e noiosi autori. Di una cosa avevano ragione i suoi detrattori: lei considerava la polemica il sale della letteratura, la discussione per lei era un momento di crescita reciproca, addirittura collettiva. Si truccò alla perfezione. Si vestì in modo da risultare più carina ed arrapante possibile. Si mise una minigonna e calzò dei tacchi a spillo. Era sicura che non le avrebbe detto di no, che avrebbe ceduto davanti al suo cospetto, che non avrebbe saputo resistere al suo fascino. In definitiva chi la odiava è perché non aveva ottenuto quello che voleva da lei. Tutti volevano il suo corpo. Tutti volevano la sua bellezza. A tanti sarebbe bastato un incontro da un quarto d’ora. Altri, magari degli insigni studiosi, si sarebbero accontentati di un sorriso accattivante. Lei era una reginetta delle patrie lettere. Ma questo non significava che si era affermata grazie al suo fascino. In verità era particolarmente brava e competente. La bellezza l’aveva potuta facilitare solo all’inizio. In quel mondo di squali e di vecchi tromboni lei ci sguazzava a meraviglia. L’aspetto fisico era solo il primo impatto. Ma lei aveva molta sostanza ed intelligenza da vendere. Riusciva sempre a stupire con le sue idee creative sia in ambito poetico che in ambito critico. Guardò l’orologio. Mancavano dieci minuti. Prese le chiavi della macchina, uscì fuori e si apprestò ad andare all’appuntamento. 

Si trovarono al semaforo. Erano entrambi in divieto di sosta ma se ne strabuggerarono. Figuriamoci se avevano paura dei vigili! Lei scese dalla sua macchina e salì in quella del boss. Si fermarono a parlare in un parcheggio deserto. Lì gli spiegò la situazione. Le disse che un tale, un semplice appassionato di poesia, un poetastro senza talento le aveva ripetutamente mancato di rispetto. La cosa non era avvenuta nella vita reale ma sul web. Era un mestatore morale virtuale, un troll. Ad ogni saggio breve che lei pubblicava in alcune prestigiose riviste online lui commentava in modo surreale, ironico, mettendola alla berlina ed esponendola al pubblico ludibrio. Lei non poteva controbattere. Avrebbe finito per dare troppa importanza ad un essere così stolto e stupido. Pensava che la sua fosse proprio una vita indegna di essere vissuta. Riteneva che questo tizio nella vita nullafacente fosse inutile, anzi addirittura dannoso per la comunità poetica. Aveva pensato di denunciarlo per stalking, di fargli paura, di fargliela pagare legalmente, ma era troppo poco. La letteratura era una cosa assai seria. Non le piaceva assolutamente che qualcuno si prendesse gioco di lei. Le chiese quindi di fare giustizia, di dargli una lezione. Aveva saputo per vie traverse l’indirizzo di casa di quel cretino. Stava in una brutta ed anonima cittadina del centro Italia. Gli aveva chiesto di non risparmiarsi in quanto a cattiveria e durezza. Gli aveva detto che addirittura aveva fatto lo spiritoso anche sui suoi profili social. Lei lo aveva bloccato, ma la cosa non le era andata affatto giù. Il boss capì che si trattava di eliminare fisicamente una persona per futili motivi e più che altro per una antipatia. Ma decise di fare questo favore perché si era invaghito della poetessa. Prese l’indirizzo della vittima. Il boss e la poetessa si appartarono in macchina in una stradina sterrata in aperta campagna e lì fecero sesso. L’esecuzione sarebbe avvenuta il giorno dopo. Dopo l’amplesso il boss la riportò alla sua macchina. Era stato un incontro piacevole. Si sarebbero rivisti di nuovo furtivamente, anche perché lei era felice fidanzata. Il giorno dopo venne ammazzato senza pietà quello sfigato.