La giovinezza passata tra il Veneto e la Toscana era stata una sommatoria di piccoli dolori e di momenti esaltanti. Da un lato i no traumatici delle ragazze di cui mi ero innamorato e dall’altro le conquiste estemporanee di ragazze di cui non me ne importava molto: insomma ero stato preso in giro dal gentil sesso e avevo preso in giro il gentil sesso. Era però difficile fare un bilancio definitivo. Quando è che avevo smesso di essere giovane? Difficile anch’esso dirlo e stabilirlo. Forse quando mi ero laureato. Forse in uno dei tanti viaggi in treno. Forse durante l’ultima delusione sentimentale: l’ultimo no. Se è vero come alcuni sostengono che i no sono frustranti però aiutano ad avere un senso del limite io allora avrei dovuto essere coscienzioso e responsabile per tutta la vita; ma dubitavo fortemente di tutto ciò. La mia giovinezza era stata a livello psichico una continua ricerca di un equilibrio interiore. A livello sentimentale era stata la spasmodica ricerca di una dolce metà. Non avevo trovato niente di tutto questo. Forse la mia giovinezza era stata un costante girare a vuoto. Mi ero imbattuto in una fauna studentesca che apparentemente era lì per il famigerato pezzo di carta da portare ai genitori e poi in realtà reclamava il sacrosanto diritto di divertirsi, acculturarsi al di fuori degli schemi precostituiti, scopare, viaggiare, ballare. Erano stati scritti tre romanzi sulla realtà studentesca in cui mi riconoscevo: “Porci con le ali”, “Altri libertini” e “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”. Forse questi tre romanzi avevano già detto tutto sul mondo studentesco italiano. Non sentivo l’esigenza di un libro di memorie. Alcuni amici erano morti e i morti andavano sempre rispettati. Avevo vissuto tre anni a Padova da studente fuori sede ed un anno nella bassa padana da obiettore in un collegio di preti. Il primo anno avevo abitato in un appartamento in cui eravamo quattro studenti ed una affittacamere spilorcia settantenne, che ci controllava totalmente. Non voleva che portassimo le ragazze nell’appartamento perché aveva paura che le mettessimo incinte e si sarebbe sentita colpevole dinanzi ai genitori di tale sciagura. Non voleva che facessimo il bagno perché non voleva accendere il boiler. Insomma voleva risparmiare. Preferiva che andassimo a nutrirci alla mensa universitaria perché così non avremmo sporcato la cucina. Parlava e bestemmiava in dialetto veneto. Ci voleva fare da nonna, anche se non c’era alcun legame tra di noi. Gran parte dei soldi le intascava in nero. Degli altri tre studenti solo uno si salvava: Simone che era un bravissimo ragazzo, che studiava chimica. Gli altri due erano studenti di ingegneria, che mi prendevano in giro perché dicevano che psicologia era una facoltà facile e perché ero terrone. Mi chiamavano Pisa. Una volta uno di loro aprì all’improvviso la porta della mia stanza e cacciò un urlo. Mi fece prendere un bello spavento perché io ero lì tranquillo che stavo studiando. Non me l’aspettavo assolutamente. Questi due frequentavano le lezioni ma non studiavano a casa. Di conseguenza non riuscirono a dare esami e non si sono mai laureati. Ad uno di questi due quell’anno morì il padre. Era un architetto. Alla affittacamere diede la notizia la madre. La spilorcia disse di andare subito a casa al ragazzo ma non volle dirle il motivo. Non so se fece bene o fece male. Suo padre era un architetto più che sessantenne. Aveva avuto lui in tarda età. Tra i due era quello più decente, pur avendo una mentalità abbastanza chiusa ed pur essendo prevenuto con chi non era suo corregionale. D’altronde erano ragazzi con la mentalità comune veneta. Erano i tempi di Bossi e di Miglio, di Roma ladrona, di più giù del Po sono tutti terroni, eccetera eccetera. Stetti un anno in quell’appartamento perché poi me ne andai. Trovammo un altro posto io, Simone ed un altro ragazzo bellunese che studiava Scienze naturali e si chiamava Riccardo. Non avevamo affittacamere che vivevano più con noi ed eravamo finalmente liberi. Il primo anno avevo conosciuto in facoltà delle persone piacevoli e simpatiche. Erano Luca della provincia di Siena e Annachiara di Lucca. Con loro andavo dopo le lezioni ai giardini a fumare sigarette. Ma passiamo ora all’anno passato nella bassa padana. Nel tempo libero ci trovavamo spesso a casa di Tomaso, che era l’unico obiettore del posto. Oppure lo seguivamo nei pub quando faceva i concerti perché suonava in un gruppo rock. La bassa padana si caratterizzava per la ristrettezza di vedute dei suoi abitanti. A Rovigo guardavano Padova. A Ferrara guardavano Bologna. Padova era inospitale. Bologna era la città aperta per eccellenza che accoglieva a braccia aperte gli studenti meridionali. Erano due realtà socioculturali completamente differenti. Bologna era irraggiungibile per me. A livello logistico non potevo andarci di notte. Sarebbe stato un caos ritornare all’alba. Poi Bologna era comunista ed io ero un liberale, anche se non liberista. Non sarei stato ben visto. Inoltre come avrei potuto stringere amicizie per una notte? Comunque nella bassa padana conobbi L., una maestra che allora faceva la rappresentante ed aveva quattro anni più di me. Ci frequentavamo tutte le sere. Eravamo travolti dalla passione, anche se ci sfuggiva il senso di tutto ciò. Durò soltanto un anno la nostra storia clandestina. Poi lei continuò a stare con il suo ragazzo, che era veronese ed era ben visto dalla sua famiglia. Anche quell’anno comunque strinsi amicizia con alcuni obiettori quando c’erano dei raduni per tutti i collegi del Veneto. Ricordo che conobbi Emiliano di Verona, che faceva il pr nelle discoteche. Suo fratello minore invece faceva il dee jay. Suo zio faceva la guardia del corpo ed aveva lavorato anche per Simona Ventura. Mi ricordo che ad un raduno a Bardolino andammo con la macchina del direttore che non voleva assolutamente che ci fumassimo dentro. Inutile dire che ci fumammo tutto il tempo ma con i finestrini aperti e al ritorno non si accorse di niente. Ma ora veniamo alle conclusioni. Difficile dire cosa sia la vita. Forse viene decisa da tutta una serie di combinazioni e coincidenze che ci sforziamo a chiamare destino, sorte, fortuna. Difficile trovare un senso agli incontri che abbiamo fatto, alle persone in cui ci siamo imbattuti sul nostro cammino. A volte non serve essere persone giuste ed incontrare persone giuste ma bisogna trovarle nei posti giusti ed anche nei momenti giusti. Inutile programmare e studiare la vita come se fosse una scienza esatta. Difficile vivere la vita ed impossibile definirla in modo esaustivo. Ognuno può cercare un senso alla sua vita, che per alcuni versi è già incomprensibile per noi stessi: figuriamoci per gli altri. È così difficile capire la vita degli altri. È così difficile che gli altri capiscano la nostra. Ognuno ha la sua storia unica. Ognuno porta in sé una sua verità. Ognuno può recriminare per gli errori fatti e per quelli subiti. Ognuno porta il peso delle ingiustizie e delle contrarietà. Tutti giudicano le vite altrui, anche coloro che dicono di non averlo mai fatto e di non volerlo fare mai. Siamo gomitoli che non si dipanano. Il mondo è un caleidoscopio. È già difficile viverla la vita reale. Figuriamoci vivere una vita immaginata! Da giovani sprechiamo tantissima vita e disperdiamo tutta la nostra energia in attività inutili. Nella maturità non vorremmo perdere nemmeno una briciola, ma la vita viene dissipata ugualmente. Il mondo è un groviglio inestricabile ed immenso di esistenze. Inoltre trarre tesoro dalla propria esperienza significa soltanto copiare goffamente il passato ed è meglio affidarsi alla fantasia perché tanto sarà la vita stessa a scombinarci tutti i piani e le nostre idee.