Il caso è qualcosa che ci trascende. È ciò che sfugge alla nostra logica, ai nostri modelli, al nostro ordine. Il caso è sempre relativo perché è ciò che sfugge alla nostra volontà e razionalità. Questo implica che ci sia invece un range del nostro arbitrio e del nostro ordine. Il caso è tutto ciò che sta al di fuori di esso. Il caso è tutto ciò che non ha senso né legge. Può darsi che un giorno vi troveremo un senso e una legge, ma per il momento ci sono sconosciuti. Nella scienza è casuale ciò che è indipendente da tutto. Ad esempio i dadi sono indipendenti dai giocatori e il loro lancio è casuale. Resta da stabilire nella vita chi sono i dadi e chi i giocatori. Anche il lancio di una moneta è un evento casuale. Il moto browniano dipende dal caso. E se la nostra vita fosse una continua roulette russa? Che probabilità c’era di nascere? La probabilità era di gran lunga minore di vincere alla lotteria. Nella scienza ci sono gli errori casuali, che a loro volta si suddividono in errori sistematici (dovuti a strumenti difettosi e perciò ad errori di misurazione) e in errori riguardanti i fenomeni esterni aleatori (come la variabilità della materia, delle sostanze, eccetera). Ma esiste anche un terzo tipo di errore e perciò di inconoscibilità dovuta alla interazione non definita tra i due aspetti (intrinseci ed estrinseci) e che dipende dal principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo cui non si può conoscere simultaneamente velocità e posizione di una particella. Non solo ma il principio di indeterminazione ci dice che esistono delle perturbazioni, che fanno in modo che l’osservatore interagisca e modifichi l’osservato. La scienza è una grande osservazione partecipante. Ogni volta che uno osserva entra in gioco, comincia a far parte della realtà, la modifica in modo più o meno marginale. Nessuno può escludere questa difettosità insita nella natura, ontologica, direi. Il caso può determinare catastrofi, che ci prendono totalmente alla sprovvista. E se le nostre fossero solo vane razionalizzazioni e se la nostra logica fosse solo apparente ed  inutile? Gli scienziati si chiedono, studiando il caso ed il caos nell’universo, come fa la vita a sconfiggere quotidianamente l’entropia e poi si chiedono come può, nonostante il problema del disordine cosmico, aver avuto inizio la vita. Ci può essere una eterogenesi dei fini negativa come positiva. Di solo questo squilibrio tra input ed output chiamato eterogenesi dei fini è la rivelazione che le nostre intenzioni sono ben poca cosa e che il sistema ci travalica. A scuola ci insegnano che i vizi privati causano pubbliche virtù e che esiste l’eterogenesi dei fini positiva. A volte questo accade anche nella realtà. Successe anche nella scienza con l’interferometro. Cercavano con esso l’etere, una sorta di mare in cui si sarebbe dovuta propagare la luce, ed invece trovarono che la velocità della luce era costante e che la relatività galileiana non valeva per la luce. Einstein colse a pieno il senso di queste premesse e formulò la teoria della relatività. Intendiamoci: non sono un fisico, non so come funzionava l’interferometro con esattezza, ma so che questa è la sostanza. Ma in fondo il big bang dipende da Dio o dal caso. Forse è il caso/caos che ci governa. Ogni nuova informazione accresce la conoscenza, l’ordine e diminuisce l’incertezza. Einstein disse che Dio non giocava a dadi con l’universo. Ma le prove fino ad ora raccolte dai fisici sembrano non dargli ragione. Hawking ha dichiarato pochi anni fa che non solo Dio gioca a dadi con l’universo ma li lancia talvolta dove noi non possiamo vederli. Ancora una volta siamo noi che soggettivamente non sappiamo. Se invece fosse vero che nessuna intelligenza superiore potrebbe capire il caso allora ciò significherebbe che questo ultimo è Dio o ne fa le veci. Nessuno però sa con certezza se l’inconoscibilità è soggettiva, cioè riguarda i nostri limiti mentali, oppure se è oggettiva e nessuno può farci niente. Forse aveva ragione Kant. C’è un limite oltre cui non si può conoscere, un orizzonte conoscitivo, la cosa in sé, il noumeno. Chiamatelo come vi pare. Spero di essermi espresso bene. Nel mio piccolo penso che non solo il caso ci sovrasti, per quanto noi cerchiamo di studiare il numero di eventi possibili e il numero di eventi simili, ma che la nostra logica sia totalmente inadeguata. A livello microscopico la scienza ci dice che tutto è indeterminato, mentre noi a livello reale vediamo spesso solo determinismo. Chi non si è mai fatto tentare dal determinismo biologico o dal determinismo economico? Non dicono spesso biologi, psicologi e medici: “siamo molto più determinati di quello che si pensava un tempo”? Forse il nostro modello è inadeguato come io da bambino che alla fine della vacanza insieme ad un mio amico sotterravamo a mezzo metro di profondità due lattine vicine ai nostri ombrelloni e pensavamo di trovarle lì un anno dopo, sapendo i numeri degli ombrelloni, ma non considerando che i bagnini avrebbero lavorato con la sabbia, l’avrebbero ripulita con i rastrelli e le reti, avrebbero tolto gli ombrelloni, poi cambiato la loro sistemazione, piantandoli di nuovo. Avevamo 4 o 5 anni e questi fattori ci erano sconosciuti. Allora quando ci ritrovavamo  un anno dopo e constatavamo che le lattine non c’erano davamo la colpa alla marea. Fattore improbabile, comunque uno dei tanti, perché avevamo gli ombrelloni dove non arrivavano le onde. E se il genere umano fosse un bambino, che spesso fa teorie strampalate? Io sono un uomo comune ma talvolta mi pongo questi interrogativi e mi sembra, più passa il tempo, di essere come il mio cane che da giovane faceva la caccia alle lucertole e le catturava, mentre ora non ne cattura più nessuna perché è invecchiato e gli mancano i riflessi. Forse ora anche a me mancano i riflessi per cogliere a pieno la realtà. Passanti, compagne di viaggio in treno, compagne di studi, colleghe di lavoro sono determinate dal caso nella stragrande maggioranza dei casi. Le amiche, le amanti, le fidanzate e le mogli invece vengono scelte. Ci sarebbe da chiedere se siamo noi che scegliamo oppure se siamo scelti. Per quel che mi riguarda ora sono solo. Sorvolo sulle passanti, che talvolta da giovane causavano rapimenti estatici, ma finiva sempre tutto lì. Rarissimamente c’era una intesa di sguardi perché non sono un tipo piacente. Mi vorrei soffermare sulle compagne di viaggio. Nella stragrande maggioranza dei casi il viaggio finiva con un nulla di fatto, sebbene io molti anni fa non lasciassi nulla di intentato. Cercavo di conversare, di attaccare bottone, aspettavo il momento propizio (il ritardo del treno, lo sciopero dei controllori, una giornata di brutto tempo, l’aria condizionata che non funzionava se eravamo su un rapido… insomma ogni scusa era buona). Ricordo che conobbi una delle ultime punk italiane. Era una bella ragazza e passai tutto il viaggio a sorbirmi tutte le motivazioni possibili ed immaginabili della scomparsa del movimento dark, di cosa significava essere dark, degli equivoci di varia natura riguardo ai dark, eccetera eccetera. A me non importava nulla, ma speravo che mi fosse data una possibilità (sarei diventato dark anche io) ed invece era già fidanzata, naturalmente con un dark. Ricordo che conobbi una ragazza di Firenze, che era disoccupata e che aveva lavorato come maschera in vari cinema di Londra per diversi anni. Era fidanzata. Ricordo che conobbi di ritorno da Pisa una ragazza di Cascina, che lavorava alla Piaggio come operaia. Qualche scambio di battute ma anche lei aveva il ragazzo! Ricordo che conobbi una ragazza di Castelfranco Veneto, che era titolare di una azienda agricola. Diceva che i dipendenti non la rispettavano perché c’era molto maschilismo. Naturalmente si stava recando a Bologna per andare a trovare il suo ragazzo. Ricordo una ragazza di Torino che faceva l’impiegata per un istituto di ricerche araldiche. Diceva che non ne poteva più di zoticoni ricchi che volevano avere il sangue blu. Io le risposi che non è la stirpe che nobilita l’uomo, ma l’uomo che nobilita la stirpe. Però mi sembrava un poco ossessiva e problematica. Forse era solo una mia impressione errata, ma decisi di non rivederla più. Ricordo che una volta a Bologna conobbi una ragazza di Arezzo. Ci scambiamo il numero di telefono. Se lo scambiò anche con un altro. Poi una volta che le telefonai mi disse che aveva scelto l’altro. Una volta sempre a Bologna conobbi una ragazza padovana, ma poi non mi considerò più perché si mise a parlare con un uomo romano. Lei era diretta a Roma e cercava una avventura con uno del posto. Io scesi a Firenze con le mani in mano. Ma quella che ricordo in modo più nitido è una ragazza che mi aveva rifiutato anni prima e casualmente si trovava nel mio stesso scompartimento. Leggevo il libro, anzi lo leggicchiavo tanto per passare il tempo. Prendevo tempo, guardavo fuori dal finestrino, poi ogni tanto la guardavo di sfuggita, di tanto in tanto mi cadeva l’occhio, osservavo in attesa che succedesse qualcosa. Ci ignorammo reciprocamente. Non ci dicemmo una parola. Lei aveva le cuffie e ascoltava musica come se io non esistessi. Io fingevo indifferenza, ma ero in tumulto, anzi ribollivo. Era passato del tempo ma non mi lasciava ancora indifferente. Il caso me l’aveva ripresentata davanti. Nemmeno ci salutammo. Sono sicuro che se le chiedessero di me ora neanche si ricorderebbe chi sono. Per lei ero una nullità assoluta. Ah gli amori sognati e trasognati! Ah gli amori non ricambiati ed inappagati! Secondo il taoismo dovevo lasciare che le cose scorressero, che gli eventi accadessero. Dovevo lasciarmi andare, dovevo consegnarmi in balia della corrente degli accidenti e degli imprevisti? Oppure dovevo ritrovarmi nelle piccole cose quotidiane? Scelsi la seconda via, non prendendo per anni più il treno e riscoprendomi stanziale, senza più cercare l’amore a tutti i costi. Cercai di nascondermi il più possibile dal caso e ci riuscii benissimo. Ma ogni tanto mi fermavo a guardare i treni. Rimanevo lì alcuni minuti attonito, pensando che forse anche la mia osservazione avrebbe modificato in modo marginale la nascita o la fine di un amore su uno di quei treni.