Racconto: Incomprensioni, di Stefania Pellegrini

Alice irrompe in casa, grondante di sudore, e non fa a tempo a richiamare Spank, che la precede derapando in salotto. La mamma sta parlottando con la zia Anna e dà un grido isterico: “Alice!” Ma quante volte ti devo dire che non devi fare entrare il cane in casa, in questo modo.”

“Non è possibile! Dove siete stati? Spank è tutto bagnato, portalo via!” Alza la voce, perentoria: “Subito! Via di qua.” E riprende a parlare sottovoce con la zia.“ Vedi, come faccio?…Non so più cosa…” Poche parole, che Alice non comprende neanche bene, perché si è allontanata per fare uscire il cane in giardino. La madre si interrompe e la richiama per ricordarle l’appuntamento in città e sollecitarla a farsi una doccia in fretta. Addio al pomeriggio tranquillo, all’idea di ascoltarsi un po’ di musica all’iPad e finire in pace la lettura de “Il giovane Holden”.
Che palle! Pensa. “Nooo, … la psicologa! No.” “Non la reggo.” Chissà poi perché. Questa proprio non l’ho ancora capita. Perché mai un genitore si dovrebbe preoccupare se la figlia non racconta le cavolate che accadono a scuola e le piace starsene da sola in camera a disegnare o a leggere? Oppure scrive poesie?
Che motivo c’è per essere in ansia?

Povera mamma, lei parla sempre sotto voce, quando va a letto con papà la sera. Ma io l’ho sentita parlare di quella figlia, secondo lei, così diversa da tutte le sue coetanee, che preferisce la compagnia di Spank al chattare con le amiche, come fan tutte. Troppo magra, sempre secondo lei, che mette felpe larghe e tute, non usa un filo di trucco e preferisce i capelli corti che la fanno tanto somigliare a un maschio.
Ma vai a capirli questi grandi, notano solo quello che vogliono notare. Mai contenti, quando non hanno problemi se li inventano, per stare male.

Perché non ti accettano per quel che sei?…Bella questa! Ma io lo so?


Alice, sorride tra sé e sé, e canticchiando va a fare la doccia. In mezz’ora è pronta. Appena scende in salotto la mamma le fa notare il ritardo; la zia, nel frattempo, se n’è andata. La ragazzina non le risponde e sale in macchina controvoglia. Le dispiace che la madre stia buttando via i soldi con quella là, ma nasconde il suo disappunto. Tanto, cambierebbe qualcosa? Scuse o non scuse, le tocca.

La psicologa, la fa entrare in una grande stanza luminosa, da sola, e la invita a sedersi su una poltrona a fiori rosa. Alice vi si tuffa come fosse il suo letto. Largo sorriso, e sguardo gentile, la donna prova a metterla a suo agio, offrendole delle caramelle. Lascia passare qualche minuto, intanto la osserva, poi si decide e la invita a raccontarle la sua giornata. L’idea spiazza la ragazzina. Non le piace parlare di sé, anzi diciamo pure, parlare in generale. Non sa mai bene cosa dire.

Ci pensa su. Prende tempo, cerca qualcosa, giocherella con la carta di una caramella. Gira lo sguardo attorno, l’ambiente è rilassante. Orchidee bianche, rosa, venate di rosso che poggiano un po’ dappertutto, le danno l’idea di trovarsi dentro una serra. Tutto bello e accogliente, però non basta a farla sentire a suo agio.

Ma che cavolo vuole questa, adesso. Che le racconto? Che a scuola oggi l’insegnante di sociologia, o quella di psicologia? … Chi è stato?… pensa perplessa. Non ricordo neanche più bene, perché seguivo i miei pensieri… qual era l’argomento? … a già: comportamenti sociali nell’adolescenza. Incredibile, come se loro sapessero cosa ci passa per la testa quando ti fai la doccia e al posto delle tette, sfiori due nocciolini di ciliegia, mentre le tue compagne portano già il reggiseno. Passi nel corridoio della scuola e le altre ragazze parlottano tra di loro e non ti degnano di uno sguardo, o ridono girandosi verso di te.

Mandano messaggini a questo o quello e ti guardano come se fossi scesa da un altro pianeta, e i ragazzi poi… quelli non ti vedono neanche di striscio. Arrossisci dietro al tuo insegnante d’arte, ti commuovi mentre leggi una poesia d’amore. Ogni tanto piangi in camera tua, senza saperne il perché.

No, meglio inventarsi una bella storia. Vera… non vera… fa lo stesso per lei. La settimana scorsa mi ha dato un foglio e mi ha chiesto di disegnarle qualcosa, e dopo giù domande: perché avevo disegnato un’isola, se l’avevo già fatto altre volte… E magari la risposta la sapeva, perché ne aveva già parlato con la mamma e bla… bla… bla.

I grandi prendono le cose sempre troppo seriamente.

Ma è così difficile capire che mi piace disegnare, mi piace il mare? L’isola è la mia oasi segreta, dove tutto è possibile e l’immaginazione può galoppare a briglie sciolte.

Ecco, adesso, vorrei essere proprio lì a gridare i miei pensieri, senza timore di essere giudicata.

Guardo la psicologa in faccia, e rimango in silenzio. Lei anche, sorride e aspetta. La osservo meglio. Però, è una bella donna, ha il volto?!? Ho trovato, somiglia alla Gioconda di Leonardo. Quanti anni avrà? I suoi occhi profondi, però hanno qualcosa che non mi piace, sono troppo profondi e mi pare vogliano scrutarmi l’anima.

Mi viene in mente “Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti”, è un pensiero del giovane Holden e mi piace. Mi sento improvvisamente felice, e per poco non mi metto a riderle in faccia. Magari mi prende pure per matta, meglio il silenzio. Decido: farò scena muta. Chissà che non capisca. 

Finirà ben l’ora, prima o poi, e potrò tornare a casa, nella mia camera. Lì anche il silenzio protegge i miei pensieri e mi accetta per quel che sono.
Stefania Pellegrini 

©Ogni diritto è riservato all’autrice