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Agostino Pietrasanta

Nel 2007, quattordici anni fa, Fernando Charrier, lasciava per raggiunti limiti di età il sevizio episcopale della Chiesa di Alessandria; sarebbe tornato alla Casa del Padre dopo quattro anni, e in questi giorni si fa suffragio nella ricorrenza decennale. Premetto perché si capisca il taglio di ciò che andrò ricordando, la mia avvertita convinzione di una vicenda purtroppo sottovalutata, sia in diocesi, sia nel contesto della vita religiosa della nazione.

Arrivava in città (1989) dopo un percorso ricco di esperienza pastorale supportata da una fede riconosciuta, da una significativa competenza culturale e da una indiscussa conoscenza del passaggio storico che la Chiesa italiana, e non solo, stava affrontando, anche con qualche difficoltà. Forse il suo primo servizio di respiro nazionale lo visse come responsabile dell’Ufficio CEI per la pastorale sociale e del lavoro; sta su questo versante la prima tappa di coinvolgimento nella caduta di alcune realtà specifiche della presenza ecclesiale in una società animata, ma talora distratta, dalle istanze di innovazione interne alla contestazione giovanile. Sappiamo ormai che la Chiesa ne fu coinvolta e conosciamo la vicenda personale e angosciata di Paolo VI, a fronte di una realtà di frantumazioni e divisioni interne alla Comunità. Uno dei capitoli, fra i tanti, fu quello della “scelta socialista” delle ACLI e la relativa sanzione da parte della Chiesa che privò l’Associazione degli Assistenti Spirituali. Venuto meno o considerato inaffidabile il contributo formativo che  assicurava (e aveva assicurato fin dai primi passi) la succitata Associazione, diventava insostituibile la creazione di un “Istituto” capace di provvedere: Charrier ne fu l’artefice e operò a tutto campo nella pastorale del lavoro coinvolgendo la CEI, le strutture più avvertite della cultura sociale della nazione e avviando un dialogo serrato, attento e rispettoso col Sindacalismo confederale, riconoscendone la capacità di rappresentanza autonoma (quando c’era), nonché l’indubbia autorevolezza (allora!). E tuttavia proprio su questo versante si verificò una prima intuizione che fece del futuro vescovo anche un critico sincero e in positivo dei comportamenti sindacali condizionati dal consenso prima ancora che dalla dialettica di un confronto che avrebbe potuto promuovere una crescita del lavoratore come protagonista di una democrazia matura. Me lo disse, ormai già vescovo di Alessandria, parecchie volte: “hanno pensato troppo al consenso, dimenticando le possibili piste di una presenza matura benché possedessero le premesse per farlo”; eppure (concludeva) non hanno marcato le derive morali in corso nei partiti politici”. Eravamo sulla soglia degli anni novanta. Inutile aggiungere che fu un’intuizione lucidissima: gli eventi successivi lo testimoniano, tanto che in nome del consenso  oggi, anche se non con responsabilità del Sindacato, si manomette la realtà.

In questa veste Charrier fu optato nella segreteria del primo convegno della Chiesa Italiana, “Evangelizzazione e Promozione umana”; il percorso preparatorio fu accidentato per le opposizioni di un atteggiamento più reazionario che conservatore all’interno di minoranze della CEI, ma soprattutto di alcune componenti della Santa Sede. In effetti il confronto di una pastorale attenta ai  “segni dei tempi” sembrava mettere in discussione la dottrina tradizionale e solo la determinazione di Paolo VI, interessato dalla segreteria (Charrier ne era componente) , benché privata della personalità di Enrico Bartoletti deceduto improvvisamente, permise la celebrazione dell’evento.

Forte di un itinerario e di una vicenda di livello nazionale, Fernando Charrier, nel 1984, venne ordinato vescovo titolare di Cercina con deputazione di ausiliare di Siena per la zona di Colle Val d’Elsa. Siamo a una seconda tappa di livello nazionale. Dal precedente 1970 erano state sospese le “Settimane Sociali dei Cattolici Italiani” ; nate nel 1907, dopo la soppressione dell’”Opera dei Congressi” avevano costituito lo strumento con cui la S. Sede, direttamente si impegnava sul piano formativo in trattazione di diverse tematiche, dalla costituzione dello Stato secondo il pensiero della Chiesa e l’ordine cristiano, alla famiglia, all’educazione, al lavoro fino a affrontare questioni di svolta epocale come successe nell’ottobre del 1945 per il tema “Costituzione e Costituente”. Paolo VI, nel  “turbine” della contestazione le aveva sospese, ma nel corso degli anni ottanta Giovanni Paolo II manifestò il desiderio di una ripresa incaricandone però la CEI anziché la S. Sede. Charrier ebbe l’incarico della responsabilità scientifica e organizzativa delle “settimane”. Procedette con determinazione e arrivò nel 1991 alla prima celebrazione, quando ormai era vescovo di Alessandria. Poi le “settimane” si susseguirono con buona regolarità e alla fine del presente mese di ottobre ci sarà una loro “puntata” a Taranto.

Vengo però a alcune annotazione sul periodo alessandrino. Forse la sua avvertita preoccupazione e scelta decisiva fu l’attenzione al territorio diocesano e al carattere della città e della Chiesa locale. Non fu cosa da poco dal momento che la tentazione di imporre le proprie idee pastorali senza riferimento alla concretezza e alle possibilità delle situazioni, di solito produce dissensi e disastri. Per questo e di conseguenza tastato il polso di una situazione di disincanto ideale e di un approccio anche alla fede o devozionale, o del tutto residuale, riuscì a promuovere un dialogo di rispetto con le più diverse componenti della città. Nei miei rapporti pubblici e privati con tante personalità che si dichiaravano e si dichiarano non credenti, ho palpato l’ammirazione per un uomo di Dio capace di apprezzare la statura di chi (sosteneva Charrier) “non riteneva di condividere la sua fede”. Il dialogo però esige ascolto e l’ascolto impone un confronto che all’interno della Diocesi, significò “sinodalità”. Tutto questo sfociò nel Sinodo diocesano, ma il tutto ebbe un significativo precedente nella organica strutturazione del Consiglio Pastorale Diocesano, non tanto per la composizione, ma per un funzionamento adeguato e decisivo. Non solo fu attento alla preparazione delle successive sezioni, ma decise di fare di un istituto consultivo la sede di decisioni costitutive dei percorsi pastorali in solido con il programma del vescovo: il soggetto investito di responsabilità decisionali sembrò funzionare, anche indicando un percorso di continuità interpretato dal successore di Charrier, Giuseppe Versaldi.

Infine il Sinodo. Una Chiesa in affanno e talora in apparente marginalità andava riunita nella sua totalità e, nella sua completezza, aprirla a un mondo che da un’ostentata indifferenza alla vita di fede, grazie al Sinodo si mise in ascolto. Ne derivò una domanda al contributo della Comunità ecclesiale, domanda che, nel frattempo si faceva drammatica nel periodo dell’alluvione del 1994. La figura del Vescovo ne ricevette prestigio riconosciuto senza eccezioni e si impose alla maggioranza degli Alessandrini; se ne fu lusingato, lo tenne per sé e lo fece con rigorosa severità, convinto che le presunzioni o peggio i sempre possibili “culti” personali, nella Chiesa producono effetti esiziali. Qualcuno, anche oggi, afferma che dei semi sparsi in un periodo tanto drammatico per la città e la Diocesi, ma ricco di speranza per la sua Chiesa, non rimane nulla; mi permetto di dire, richiamando una battuta di don Mazzolari, “impariamo da Dio a avere pazienza”; se gli uomini passano, lo Spirito protegge sempre la sua Chiesa e il mondo in cui i Cristiani operano, senza privilegi, senza divisioni, senza separatezze e con lo spirito della gratuità raccomandata dall’Evangelo. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Servizio alla Chiesa locale, servizio alle Chiese del Paese: non mancarono critiche, ovviamente interne alla Comunità, soprattutto perché (si diceva) era troppo spesso lontano dalla Diocesi. Una volta che mi permisi di proporre un accenno, mi rispose, anche facendo riferimento a un invito di Giovanni Paolo II che gli fu rivolto personalmente, persino con una punta di paterno rimprovero: “ricorda che sei sì Vescovo di una Chiesa locale, ma proprio per questo anche Vescovo della Chiesa di Dio”. Credo che  Papa Wojtyla  lo ritenesse mandato caratteristico del vescovo, ministro del Popolo fedele.