La differenza tra ragione e fede è uguale alla differenza tra chi cerca la prova irrefutabile dell’esistenza di Dio e chi cerca semplicemente Dio. In ogni caso comunque non si trova né la prova, né Dio.

Disse l’italianista militante ad una amica: “Quell’autore è un tipo tutta trama e niente più”. L’amica rimase in silenzio. Ma dentro di sé pensava che anche le trame e non solo le scritture possono essere stranianti e sperimentali. 

Era una bella ragazza. Andava dell’analista per risolvere i suoi problemi, ma più che alleggerire la mente alleggeriva il portafoglio. I problemi restavano e l’analista sfruttava le sue idee, scriveva la sua storia in un libro. Era considerata un caso clinico a cui rubare l’ingegno. L’analista, preso dal controtransfert, voleva portarsela a letto, strabuggerandosene della deontologia professionale. 

Ogni giorno si restringeva la cella. Ogni giorno gli mancava un poco di aria. Ma non sembrava accorgersi di tutto questo o faceva finta di niente.  

Dopo gli storici che ritenevano che il Purgatorio fosse una invenzione c’erano i teologi dell’inferno vuoto. Mancavano all’appello i teologi del paradiso vuoto che dichiaravano falsi i santi e i beati. In ogni modo le tre cantiche di Dante non sembravano più attendibili o comunque apparivano molto datate.

Pensava di essere al sicuro perché colluso con i mafiosi, ma non sapeva che i poteri forti se ne strabuggeravano della mafia, che la vera mafia era a Roma e Milano,  che quando Totò Rina voleva sapere i responsabili di Ustica non gli dissero niente, ma nelle stanze dei bottoni sapevano e questo era solo un esempio, però significativo.

Uno dei problemi del mondo è che questo da falansterio immancabilmente si tramutava in panottico. 

Il rompicapo più enigmatico ed angosciante per un uomo è la morte, la morte che lo riguarda, ovvero la sua e quella dei suoi cari. Tutto il resto viene dopo. Per molti è così. 

Il criminale lo minacciò a morte ma lui rispose che è solo questione di tempo e che comunque tutti siamo condannati a morte. 

Era un commerciante benestante. Dato che non era istruito e ce l’aveva fatta pensava che lo studio fosse inutile e tutti dovessero andare a lavorare già da adolescenti. Senza dirlo pensava che molti laureati fossero incapaci e inutili. Si scordava che l’evoluzione della società comprendeva anche il fallimento di un numero imprecisato di persone istruite. 

Andarono a Verona per lavoro. Al ritorno, dopo aver percorso centinaia di km, fecero un incidente a poche centinaia di metri da casa. Erano stati sfortunati nella fortuna e fortunati nella sfortuna. 

C’è chi dice che oggi l’ignoranza sia una colpa. Io dico che chiunque è ignorante in qualche ramo dello scibile umano. Ma a ben vedere dopo una accurata analisi è sempre più difficile sapere ciò che sappiamo e ciò che ignoriamo. Ci sono molte informazioni, molte notizie, molte nozioni che sappiamo e non sappiamo al contempo. Sappiamo un pò di tutto e niente allo stesso tempo. Molte cose un tempo apprese  poi finiscono nel dimenticatoio.  Il problema è se qualcuno erroneamente crede di sapere. Siamo degli idiot savant.

Plinio il Vecchio scriveva:”I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che furono dai Greci neglette, cioè nell’aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache”.  Per tutte  tre le cose avevano bisogno di grandi tecnici, che dovevano essere davvero esperti. Erano degli antichi ingegneri civili.

La piramide di Cheope è l’unica rimasta  delle sette meraviglie del mondo. Questo dovrebbe far riflettere.

Dicevano che al peggio non c’era fine. Forse era vero. Forse no. La realtà è che il futuro era imprevedibile e il peggio inimmaginabile. La realtà è che tutti andavano verso il peggio, verso la fine.

Diceva di essere molto superiore alla media. Diceva che si sarebbe laureato e sarebbe diventato un cadetto dell’accademia di Livorno. Nessuna delle due cose gli riuscì, ma era così simpatico e ruffiano che dagli amici era considerato un genio. Diventò un dirigente di una azienda in cui era socio suo zio. Dove non arrivavano amicizie e conoscenze ci pensavano le parentele.

Ogni tanto rimpiangeva l’occasione sprecata con una compagna di scuola, ma subito dopo si ricordava che in definitiva non lo stimava, che ci sarebbe stata a quel tempo solo per i soldi e che adesso lui non aveva più alcun benessere. Si sarebbero entrambi rovinati la vita. Difficile infatti volere bene e rimanere affezionati quando ci si è messi con qualcuno solo per interesse e calcolo. Lui si ricordò bene come erano andate le cose all’epoca e capì che allora aveva pensato a tutto e non aveva sprecato niente. Ad ogni modo aveva fatto la scelta giusta. I soldi infatti spesso finiscono e quando finiscono si rimane spesso da soli. 

Un paradosso delle scienze umane è il familismo amorale per le mogli probe e religiose di certi boss ma anche per i mariti innocenti di certe madri assassine, che hanno ucciso i loro pargoli. Non è solo la paura di essere perseguitati dai coniugi. In qualche modo c’è una condivisione amorale o immorale. Ma la legge italiana prevede tutto ciò per tutti gli individui. Legalmente in Italia ci sono molte attenuanti per i familiari che non dichiarano la colpevolezza di un figlio o di un coniuge, che non aiutano gli inquirenti. Di fatti fu un politologo americano che coniò il termine “familismo amorale”, parlando con spocchia di certe zone del Sud Italia e definendole società arretrate.

L’antica biblioteca di Alessandria d’Egitto fu distrutta per mano degli uomini, senza stare a rivangare da chi. Volevano metterci  tutti i libri del mondo. Nel nostro Paese se qualcuno avesse la stessa pretesa di fare una biblioteca con tutti i libri italiani i bibliotecari impazzirebbero a inserire ogni anno i libri di poesia pubblicati ed autopubblicati. 

Faceva la spia quando dei suoi compagni di scuola marinavano la scuola. Trent’anni dopo difendeva a spada tratta il fratello indagato dalla direzione investigativa antimafia.

Dicevano che quella tipa aveva la puzza sotto il naso. Una volta che lo seppe prese da parte i suoi maldicenti e disse loro che lei aveva la puzza sotto il naso solo quando si trovava al loro cospetto perché essi puzzavano.

Andarono a Rivalto a comprare le castagne. La donna del bar non l’aveva vendute a quelli del mercato né a quelli del supermercato perché le bastavano appena per la sagra del paese. Avevano trovato due castagneti chiusi. C’era una bella visuale, una bella panoramica. Camminarono per le vie del paese e trovarono dei biglietti disseminati dove c’erano scritte poesie ed aforismi. Non c’era scritto il nome dell’autore. Respiravano una bella aria. Poi il padre indicò la casa che aveva venduto qualche anno fa un suo amico. Quindi ripartirono verso casa. 

Pensava di sapere l’italiano. Ne andava fiero. Ironizzava sugli strafalcioni altrui. Non si accorgeva dei propri errori naturalmente.  Ma non si era mai trovato di fronte ad un ottimo editor, che aveva fatto le pulci al suo italiano sgrammaticato e stentato.

Il Grande Fratello all’inizio poteva essere utile per capire le dinamiche di gruppo. Poteva essere un esperimento psicologico. Ma neanche le persone più autentiche e normali (dubito che esistano) si comportano in modo spontaneo quando sanno di essere osservate. 

Si odiavano cordialmente sul lavoro, ma ogni sera si ritrovavano a guardare la luna al solito posto. Era un modo come un altro per farsi compagnia e commentare la luna.

Ricordò un attimo le scuole medie. Ricordò quell’edificio austero e oggi pericolante. Ricordò che si doveva sempre alzare in piedi ogni volta che in aula entrava un insegnante.  Ricordò che qualche insegnante prendeva per gli orecchi i bambini e che erano frequenti e mai puniti i casi di bullismo. Ma fu solo un attimo e poi riprese a pensare al lavoro. Distolse la mente da quei ricordi, sempre più vaghi ed indistinti, che ogni tanto casualmente riaffioravano e lo tormentavano. 

Pensava di avere molte amicizie. In verità ognuno ha poche amicizie vere. La maggioranza sono conoscenze. Tutto sta comunque a non essere troppo selettivi, esigenti, esclusivi. È talmente difficile essere già amici di sé stessi. 

Ci voleva insegnare l’educazione civica. Era impaziente e severa con noi ragazzetti  discoli. Era una signora del quartiere, nostra conoscente. Ci odiava. Non ci avrebbe voluto sicuramente se fossimo stati suoi figli. Più volte chiamava i carabinieri quando noi ci riunivamo la sera nella via dove abitava. Suo marito non faceva mai polemiche, lasciava fare. Era così orgogliosa di suo figlio musicista. Adesso è morta da qualche decennio. Suo marito lo stesso. Anche il figlio è morto da qualche anno di tumore. Sono morti tutti. Il figlio non ha lasciato prole per il mondo. Di loro resta ben poco, come quasi tutti del resto. Forse è solo pensando alla morte che si può dare un senso alla vita, come pensava in modo più elaborato e complesso Heidegger. 

Diceva che i disoccupati erano tutti degli incapaci o non avevano voglia di lavorare. Diceva che in qualche modo un lavoro si trovava sempre. Diceva che non esistevano disoccupati validi. Dopo qualche anno però la sua azienda fallì e rimasero disoccupati i suoi figli, che pagavano loro malgrado le convinzioni e i fermi convincimenti del padre. 

Cosa saremmo senza l’illusione del controllo sulla nostra vita?

Gli brillavano gli occhi, poi si inumidivano ogni volta che parlava del suo vecchio cane (un bracco ungherese), morto anzitempo per tumore. 

Il treno passò il Po. Lui guardò per un attimo la sua compagna di viaggio, che leggeva serenamente un libro. Quella ragazza non se la ricordava più. I suoi connotati, le sue fattezze non erano rimaste impresse nella mente o erano state perdute definitivamente. Si ricordava quella prima volta che aveva attraversato il Po. Erano passati quasi 30 anni e si chiedeva se nella sua vita lo avrebbe rivisto dal vivo. Al Po associava sogni e pensieri di molto tempo fa. Quel fiume gli ricordava sé stesso da ragazzo.

Quando gli piaceva una ragazza pensava sempre al banco di prova che avrebbe dovuto superare, ovvero al banco di prova dei familiari e dei parenti. Ogni volta pensava a quella sorta di tribunale. Poi pensava al banco di  prova e al tribunale dei familiari e di parenti di lei che avrebbe dovuto superare lui. Si chiedeva sempre se ne valeva la pena e la risposta che si dava era sempre no.

Era andato a Bologna quella sera. Aveva preso il treno. Doveva ritornare la mattina presto al collegio. Non avrebbe dormito. Avrebbe gironzolato per tutta la notte. Avrebbe vagato nei pressi del centro e sotto stazione, ma si sarebbe sentito intimamente libero.

Il suo primo bacio lo dette a Guendalina in prima elementare, dopo essersi strofinato ad un palo ed essere salito in alto. Era stato preda di un turbamento, di una erezione e aveva baciato la bambina. La maestra aveva lasciato fare. Dopo l’accaduto lui e Guendalina non si frequentarono più, quasi si evitavano. Anzi lui si vergognava se qualcuno gli ricordava l’episodio. Era il benedetto periodo di latenza secondo la psicologia evolutiva e il gentil sesso non era ancora così importante. 

Ogni insegnante se ne andava da quella scuola professionale. Così mandavano lui a fare supplenza, che sapeva rabbonire i ragazzi, raccontando aneddoti culturali e parlando di poeti e cantautori. Poi finita l’ora di lezione continuavano a chiamarlo terrone. 

Non aveva un eloquio fluente. Però parlava con cognizione di causa. Non era affatto abituato a parlare. Faticava a parlare con chi non stimava e da chi non veniva stimato. La disistima spesso era reciproca. Molti pensavano che per sapere le cose bisogna per forza essere veloci e logorroici. Ma spesso anche l’esitazione, l’incertezza, la correzione in corsa, il dubbio erano più segno di vera cultura della falsa certezza esposta con sicumera. 

Leggendo Goffman pensavo che il lavoro del sociologo sulla interazione e sulla perdita di faccia comprendevano sia la genealogia della morale di Nietzsche,  in particolare la vergogna, e la teoria psicologica dell’immagine. Ma avvertivo anche un richiamo implicito a Pirandello.

Per non perdere il lavoro di letterato al quotidiano,  che lo pagava poco, dovette abbassare la soglia del suo giudizio critico. Di certi libri non ne pensava niente, erano al di sotto delle sue aspettative e non rispecchiavano i suoi criteri, ma doveva pur guadagnarsi la pagnotta. Così scriveva panzanate, pensando che la critica obiettiva ed imparziale non esisteva. 

La cosa più importante nel Novecento era sapere se quella ragazza l’aveva data a Caio o se Tizio fosse gay, mentre nel mondo accadevano misfatti e mostruosità di ogni tipo.

Era una insegnante. Insegnava annoiata Dante e Leopardi.  Poi nel tempo libero leggeva di gran voglia Joe Evans, Bisotti,  Fabio Volo e odiava i suoi colleghi snob. In fondo diceva al marito che era pagata per imporre un supplizio.

Lei si dichiarava poetessa.  Lui rispondeva che al mondo di oggi tutto era business, tranne la poesia e perciò doveva cambiare hobby, perché non sarebbe mai stato proficuo. Allora litigavano e nessuno cedeva di un millimetro. Poi facevano all’amore.

Andò agli Uffizi ad osservare i capolavori. Poi si prese un caffè e si fumò una sigaretta sulla terrazza. Il sole era alto e lui osservava dall’alto i turisti stranieri che camminavano spaesati ed ammirati Piazza della Signoria e le forze dell’ordine che vigilavano. 

La contentezza dipende dallo stato mentale, che dipende soprattutto dall’amore, dal lavoro, dalla condizione economica, dalla salute e molto dall’aspettativa di vita. 

Pascal era un genio perché quando aveva mal di denti studiava e scriveva. Io che non sono Pascal quando ho mal di denti prendo un antidolorifico e mi chiedo come facesse Pascal ad usare le sue equazioni o i suoi pensieri come antidolorifici. Ad ogni modo Pascal era Pascal nonostante il mal di denti e non grazie al mal di denti.

Disse al direttore della rivista scandalistica che occuparsi di pettegolezzi equivaleva a spettegolare all’ennesima potenza e che quello non era giornalismo. Il direttore lo mandò fuori e gli fece terra bruciata.

Era una regione rossa. Perfino i più fascisti nella loro mentalità avevano degli influssi comunisti. Era un ex nazione fascista. Perfino i più comunisti avevano delle venature fasciste nella loro cultura;  la loro storia,  quella dei loro padri e dei nonni erano intrise di fascismo. Non a caso ne “Il fasciocomunista” di Pennacchi vi si erano ritrovati in molti.

Lo affascinava il caso, l’aleatorio, lo stocastico. Pensava che il lancio dei dati o di una moneta fosse frutto del caso più piccolo. Poi c’era un caso medio come quello di una goccia di pioggia che non si sa dove cadeva sull’asfalto, il numero di persone davanti uno sportello pubblico  o il numero di urgenze in un ospedale. Infine c’era per lui il grande caos che chiamava Dio. Ma questa sua teoria dei tre caos non l’aveva esplicitata a nessuno. 

Un tempo i vip e le vip gridavano al mitomane. Oggi gridano tutti e tutte all’hater.

Diceva di essere comunista come suo padre e sua madre. Aveva delle laute rendite e guidava una bella macchina di lusso. Ma diceva ai suoi compagni di partito di espropriare la casa e di far picchiare quel liberale anticomunista. L’importante era pedinarlo, osservare ogni suo spostamento, ogni sua abitudine, i suoi orari e poi colpire.

Era analfabeta e lavorava da una vita come cuoca in quel collegio. Ora sarà morta da almeno venti anni. Dormiva vicino al refettorio. Studiava ogni movimento notturno. C’era qualcuno che veniva di nascosto a fare lo spuntino notturno. Mi ricordava “la vecchia serva analfabeta” di Montale. Forse quella era diventata la sua casa, la sua dipendenza era forse un senso del dovere e poi non sapeva dove andare. Inoltre forse era intimamente più libera di molti che si professavano liberi a parole ed io a volte mi chiedo “pretescamente” a cosa servano cultura e libertà. 

Aveva i giga contati. Non poteva sprecarli leggendo tutti i post degli amici virtuali. Allora ogni giorno postava qualcosa, tempo di un minuto o poco più. Poi si disconnetteva. 

Mentre aspettava in macchina, suo padre che era andato al mercato, osservava annoiato una ragazza alla fermata dell’autobus, che ascoltava la musica con le cuffie. Poi arrivò l’autobus, la ragazza salì, ignara di essere stata oggetto di interesse. Suo padre arrivò e mise in moto. Non sapeva se quegli istanti avevano avuto un senso o se l’aveva smarrito chissà dove. 

Il padre osservava gli storni. Il figlio guardava il crepuscolo.  Nessuno in quella casa usciva la sera a guardare le stelle. 

Avremmo bisogno tutti dell’overview effect. Avremmo bisogno di una consapevolezza cosmica maggiore, di sentirci parte di qualcosa di importante. Ma spesso il senso profondo delle cose ci sfugge e litighiamo per delle quisquilie, per niente.