Barbara Rossi: ARIAFERMA di Leonardo di Costanzo

Pellicola inconsueta, non tanto o non solo per la trama (l’esperienza carceraria di un piccolo gruppo di 12 reclusi in attesa di un non  meglio precisato trasferimento), quanto per lo stile. Il già documentarista Di Costanzo gioca sulla sottrazione, sulla rarefazione di dialoghi, atmosfere, situazioni.

Ci regala un tempo immobile, che non passa, “aria ferma”, appunto, ma ancora in grado di scavare dentro le coscienze, di suscitare reazioni, echi, memorie. Ricordi non troppo esibiti, per la verità: perché ciò che conta, che respinge o avvicina gli uomini (il caso dei personaggi di Silvio Orlando e Toni Servillo) è un eterno presente, dove è il deserto delle irte cime che circondano il carcere, è la struttura penitenziale stessa (spesso ripresa dall’alto con tutta la claustrofobia che viene dai suoi cunicoli e anfratti, dai muri senza varchi) a simboleggiare una condizione umana desolante e sospesa.

Da “Aspettando Godot” a “Il deserto dei tartari”, i riferimenti letterari e cinematografici si sprecano. Molto evocativi alcuni canti tradizionali (sardi, ma i riferimenti geografici come quelli temporali sono volutamente imprecisi), persino disturbante a tratti la lentezza di ciò che non accade. Lavoro originale, emblematico.