Ringrazio la pagina facebook Me Piemont https://www.facebook.com/Me-Piemont-108799583958724/ e il sito https://www.ceraunavoltailcanavese.com/ per le notizie, in questo post ho inserito i miei personali ricordi di un’ormai lontano periodo lavorativo. Pier Carlo lava

L’amaro Dom Bairo

Me Piemont Dom Bairo

D.O.M. Bairo “l’Uvamaro” è uno storico amaro a base di vino, noto negli anni settanta ma da tempo non più in produzione. Il nome iniziale stava a significare Deo Optimo Maximo, ma venne successivamente (1974) trasformato in Don Bairo poiché veniva comunemente chiamato in questo modo (complice il personaggio degli spot pubblicitari).

Storia

La sede della distilleria era in origine a Bairo, nella zona del Canavese in Piemonte. La ricetta originale del medico (archiatra) Pietro Michaeli, più noto come Pietro Bairo, risale al Quattrocento (1452) e fu in seguito ripresa dalla ditta Buton per produrre l’amaro su scala industriale.

I consigli per la degustazione riportati sulla bottiglia dell’amaro recitavano testualmente:

Lo moderato usaggio donerà vieppiù sana consolazione et buonumore. Pigliato avanti e dopo ‘l pasto et etiam a tute ore de la giornata.

(Fonte: Wikipedia)

I miei ricordi dei tempi della Bairo

di Pier Carlo Lava

Quando ho visto e condiviso questo post di Me Piemont mi è tornato alla memoria un periodo di molti anni fa nel quale ho operato come capo area per Liguria e Sardegna per la società Bairo che all’epoca era una nuova divisione appena creata della società Buton.

La Bairo dopo alcun anni è stata sciolta per decisione della Buton nella quale erano stati fatti confluire tutti i prodotti della Bairo, l’amaro Dom Bairo, l’aperitivo Personal GB, la grappa Dalla Cia, il Diesus amaro a base di erbe e i succhi di frutta Derby. 

Comunque a parte la delusione finale relativa alla chiusura della società, con la conseguenza che tutti i collaboratori esterni compreso il sottoscritto si sono trovati senza lavoro ho comunque un ottimo ricordo di quel periodo. 

Tra l’altro nel primo anno di attività c’era stato un concorso a target ed essendomi classificato primo su 10 capi area a livello nazionale mi ero aggiudicato una fiat 500 rossa fiammante.

Amaro Dom Bairo 

STORIA D’UN  AMARO
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Nel paese di Bairo, sino a non molti anni fa, si produceva l’Amaro Dom (sigla per Deo Optimo Maximo) Bairo, che divenne popolare soprattutto negli anni Settanta quando, con l’avvio della produzione industriale dovuto all’acquisizione della “Premiata Distilleria e fabbrica liquori d’Emarese in Bairo” da parte della Buton s.p.a., si iniziò la commercializzazione del prodotto con il nome di “Elisir Amaro Dom Bairo, detto l’Uvamaro” lanciando una fortunata campagna pubblicitaria in Carosello. Protagonista dello spot a cartone animato, andato in onda dal 1972 al 1976, era Cimabue, un simpatico frate pasticcione motteggiato dai confratelli con il ritornello “Cimabue, Cimabue, fai una cosa e ne sbagli due”, e si concludeva con l’arrivo del frate Priore che invitava a un brindisi pacificatore, accompagnato dal sonoro ”… che è un intenditore, tirò fuori un liquore al mondo raro, così nacque Dom Bairo l’Uvamaro, anno di grazia 1452”.

Dallo spot apprendiamo dunque la data del 1452 come anno di nascita della ricetta originaria dell’amaro, anche se la tradizione ne attribuisce la paternità al celebre medico Pietro De Michaeli, meglio noto come Pietro Bairo, che nacque nel 1468 nel comune canavesano e morì a Torino, dove fu sepolto in cattedrale, nel 1558. Bairo, primo medico e archiatra alla corte del duca Carlo II di Savoia, mise a frutto la sua competenza erboristica creando un vino aromatizzato con una miscela di erbe e radici, tra cui risaltava la china, e ideando una ricetta che venne poi ripresa circa tre secoli più tardi dal barone Eugenio Vagina d’Emarese, fondatore in Bairo dell’omonima distilleria insediata in un’ala del palazzo d’Emarese, per la produzione dell’Amaro D.O.M. Bairo, ricavato da “uve silvane e erbe rare” e nominato per la prima volta nel catalogo della distilleria pubblicato nel 1898.

L’Amaro Dom Bairo (anche pubblicizzato come Don Bairo), caratterizzato da un sapore affine a quello del vermouth, ma con una dotazione zuccherina inferiore, apparteneva in realtà alla categoria dei “vini amari”, che avevano cioè come base il vino, amaricato con miscele di erbe, spezie e radici, una tipologia di prodotto che si affermò tra gli anni Settanta e Ottanta per via delle accise ridotte, riscuotendo per un periodo il favore dei consumatori, per poi declinare dal principio degli anni Novanta. Apparteneva alla stessa categoria il celebre Diesus, amaro di gran moda negli anni Ottanta per l’originalità della bottiglia, modellata a forma di frate con tanto di saio e cordicella in vita. Prodotto dall’azienda Barbero, fondata nel 1891 a Canale d’Alba, derivava dal recupero della tradizione liquoristica dei conventi piemontesi, evocata dalla forma della bottiglia, e si basava sull’utilizzo del vino aromatizzato con 30 tipi diversi di erbe, tra cui spiccavano genziana, timo, maggiorana, china, sambuco.

Cimabue durante Carosello rese celebre l’amaro Dom Bairo

Grazie per l’articolo a Ivo Chiolerio