
«Filastrocca di San Martino» di Mimmo Mòllica
Martino era un agiato
figlio di borghesia,
in Italia mandato
dal Regno d’Ungheria
per diventar soldato,
formandosi a Pavia.
Martino non amava
combatter con le armi,
così lontano andava,
lontano dai gendarmi.
Un giorno freddo e cupo,
l’undici di novembre,
con un tempo da lupo
(sembrava già dicembre),
mentre a cavallo andava
vide un uomo tremante,
sfinito e barcollante,
nudo e senza mantello,
nei pressi di un ruscello.
Si impietosì Martino
e la spada sguainò,
pensando “poverino”
e il mantello in due tagliò,
dopo gli andò vicino
e metà gliene donò.
Subito un sole giallo
rese il cielo splendente,
San Martino a cavallo
apparve rilucente.
L’allegro pettirosso
si mise a cinguettare
e il povero commosso
si cominciò a scaldare.
Novembre adesso è mite:
estate di San Martino,
quando cresce la vite
e il mosto è già nel tino.
Quella notte a Martino
venne in sogno Gesù,
poiché donò il mantello
al povero quaggiù.
Gesù era il poverello
che Martino incontrò
e con il suo mantello
lo accolse e lo scaldò.
Ogni anno sin d’allora,
il giorno di San Martino
la luce dell’aurora
splende sul biancospino
e il pettirosso vola,
belando l’agnellino
il povero consola.
Festa è nelle campagne
si brinda al caldo inverno,
caldarroste e castagne,
frutti del Padreterno.
Il sole dell’inverno
riscalda il pellegrino
ed ogni mosto è vino,
«evviva San Martino».
Mimmo Mòllica ©
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