In questi giorni si è onorato il Milite Ignoto (nel centenario della sua traslazione presso l’Altare della Patria) e con lui i tanti giovani che sono stati sacrificati sull’altare del primo conflitto mondiale.

E’ giusto riconoscere il loro sacrificio, il dolore delle famiglie, delle madri, mogli, fidanzate, figli; e riconoscere la sofferenza e l’impoverimento provocato dalla guerra alle comunità, alla loro economia e al lavoro (soprattutto agricolo).

Un centenario giustamente ricordato con gli onori dovuti a chi ha dato la vita, strappato a famiglia e lavoro; reciso nel fiore della giovinezza e nelle speranze di futuro.

Fortunatamente, negli ultimi anni le celebrazioni e la narrazione di quegli eventi si sono fatte meno strumentali rispetto al passato, in cui sembrava prevalere l’apologia della vittoria in chiave militarista e ad uso nazionalista. Non a caso la storiografia degli ultimi anni ha iniziato a riabilitare tutto quel settore che era identificato come <Disertori>: e come tali furono fucilati, insieme a chi era giudicato colpevole di insubordinazione, mentre aveva solo commesso un errore o aveva capito male un ordine. Più che disertori, molti avevano capito che si stava davvero compiendo una <inutile strage>, oppure semplicemente non accettavano di essere trattati come carne da macello in mancanza di strategie opportune e valide.

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