Monoclonali dimenticati, curati solo in 6mila: «Imedici di famiglia ci mandino i pazienti»

da: Il Sole 24Ore

L’Italia ha speso 100 milioni finora per acquistare 150mila dosi di anticorpi monoclonali, forse l’unica cura contro il Covid efficace,a parte i vaccini, perché in grado di ridurre dal 50 al 70% i ricoveri a patto che i pazienti facciano le infusioni nei primissimi giorni dalla comparsa dei sintomi. Peccato che in tre mesi, da quando cioè abbiamo le 150mila dosi, sono stati trattati con i moncolonali meno di 6mila pazienti. 

Troppo pochi rispetto alle disponibilità, in pratica ne sono state utilizzate meno del 5 per cento.

«Certo ora ci sono meno contagi e ci sono i vaccini però è indubbio che questi farmaci siano poco conosciuti dai medici di famiglia che sono quelli che devono inviare questi pazienti precocemente nei centri per fare l’infusione che dura circa un’ora e poi dopo un’altra ora di controllo si torna a casa», racconta Emanuele Nicastri, direttore della divisione Malattie infettive dell’Istituto Spallanzani di Roma, uno dei centri che somministra gli anticorpi, «oggi ne ho fatte due di infusioni», spiega Nicastri.

Pochi pazienti trattati con i monoclonali

In Italia finora sono stati solo 5.861 i pazienti Covid trattati con anticorpi monoclonali, e inseriti nell’apposito registro di monitoraggio realizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in 3 mesi, ovvero dal 10 marzo. Sono invece 192 le strutture coinvolte in tutte le Regioni. Dall’inizio del monitoraggio aggiornato al 4 giugno scorso, in numeri assoluti il Veneto risulta la Regione con il maggiore utilizzo con 773 pazienti trattati, seguito dal Lazio (764) e dalla Toscana (712), mentre agli ultimi posti ci sono Bolzano con 3 pazienti inseriti nel registro e il Molise con 13.

Perché così pochi pazienti? Innanzitutto c’è la non immediata somministrazione: «Pur essendo un farmaco destinato a pazienti a domicilio è una cura che si utilizza per via endovenosa e quindi è stato previsto di poterlo fare solo in ospedale». Nelle ultime settimane ha pesato anche il crollo dei casi e l’aumento dei vaccinati «soprattutto nelle categorie più a rischio». Ma Nicastri aggiunge anche che «forse i medici di famiglia non conoscono ancora bene questa possibilità di cura che è fondamentale se è utilizzata precocemente, cioè nei primissimi giorni di insorgenza dei sintomi. Per questo sarebbe importante che i medici sapessero bene come funziona». 

I pazienti eleggibili per le infusioni

È stata l’Aifa a identificare l’identikit dei pazienti che possono accedere a questi farmaci: «I monoclonali non si utilizzano in tutti i pazienti positivi. I criteri principali sono l’età, l’obesità e la presenza di malattie croniche. Si tratta comunque di una platea molto ampia», spiega Nicastri. Che insiste nel sottolineare qual è il paziente ideale per questo tipo di terapia: «Il messaggio importante che deve passare è che i medici di famiglia o quelli che hanno in cura il paziente al primo sospetto di sindrome respiratoria acuta, magari anche dopo solo un tampone antigenico positivo, devono inviare subito il paziente al centro ospedaliero in modo da effettuare presto l’infusione del moncolonale. L’ideale è farlo entro i primi 3 giorni dall’insorgere dell’infezione. Sono infatti un’arma molto efficace nei pazienti nella primissima fase della malattia», spiega il medico dello Spallanzani di Roma

Da: Il Sole 24 ore

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