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Su un totale di 988 tra deputati e senatori, in oltre tre anni e mezzo di legislatura uno su cinque ha cambiato gruppo almeno una volta

L’articolo 67 della Costituzione Italiana sancisce nero su bianco l’indipendenza e l’autonomia dei parlamentari, i quali non risultano vincolati da alcun mandato né verso il partito di appartenenza, né verso gli elettori che, votandoli, hanno permesso loro di sedere alla Camera o al Senato. Questo divieto di mandato imperativo presuppone che i parlamentari agiscano e votino con libertà di coscienza: essi hanno pertanto il pieno diritto di poter cambiare gruppo parlamentare qualora non si sentano più rappresentati dal partito politico a cui risultano iscritti.

Questo fenomeno, pur facendo parte del nostro assetto costituzionale, negli ultimi anni ha raggiunto notevoli dimensioni, complici le spaccature interne ai partiti e le maggioranze sempre più variabili. Basti pensare che dall’inizio di questa legislatura – la diciottesima della nostra storia repubblicana – ben 200 parlamentari su 988, cioè 1 su 5, hanno cambiato gruppo parlamentare.

La principale conseguenza di questi “cambi di casacca” è sui rapporti di forza tra maggioranza e opposizione: si potrebbe infatti riaprire il dibattito sul cosiddetto “trasformismo”, quel fenomeno per cui i parlamentari eletti in un determinato partito entrano successivamente a far parte di un altro gruppo, influendo su eventuali voti di fiducia, ma anche sulle composizioni delle commissioni parlamentari e delle giunte, che sono costituite sulla base della rappresentanza dei gruppi in parlamento.

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