L’uomo dei piccioni”

Si parla, si fanno battute più o meno spiritose, tuttavia, però, si coglie la strana sensazione come se la vita per tutti loro fosse già arrivata al capolinea. In una mensa dei poveri, una fila di persone di entrambi i sessi, anche se in verità gli uomini sono in gran numero superiore, con chiara espressione abulica, un vassoio in mano, scorrono con flemma per poter essere serviti del modesto pranzo quotidiano. La processione per il cibo, lenta ma costante, è improvvisamente bloccata da un giovane con la bocca e gli occhi socchiusi, ginocchia leggermente piegate, causa evidente una dose di eroina, il quale non percepisce neppure le sollecitazioni del volontario nel ritirare la sua porzione di pietanza. Stefano è seduto a un tavolo insieme con altri tre commensali; uno di questi, cinquantenne, dall’aspetto sufficientemente curato, gli chiede:

– Sei nuovo? –

– Dici a me? – risponde distrattamente Stefano, intento a contemplare le vivande sul suo vassoio.

– Scusami della mia invadenza, ma ti vedo così attento, scrupoloso nel guardarti intorno, quasi con stupore, che mi sono detto: questo è un nuovo arrivato – ammette l’uomo. – Il cibo non è male, proporzionabile al luogo. –

– Cosa fai, la conta di quelli che arrivano e di quelli che vanno via? –

– Be’, non è proprio così. Diciamo che non passi inosservato. Il mio nome è Giulio. –

– Stefano. –

È la prima volta che entri in un posto simile? –

– Sì. Passavo da qui, quando sono stato invitato da questa brava gente a non lasciarmi sfuggire l’opportunità di gustare il delizioso menu della mensa. –

– Sono stato troppo buono – tiene a precisare l’uomo. – Questi maccheroni non si ha il piacere di masticarli che si sciolgono in bocca. –

– Così si digeriscono più rapidamente. –

– Sì, hai ragione. Potrebbe essere un valido motivo. –

Gli altri due ospiti seduti nello stesso tavolo non aprono bocca se non per mangiare. La sala pranzo è piena in ogni ordine di posto, costringendo i ritardatari di pazientare in sala d’attesa. Stefano, tra un boccone e l’altro, continua la sua irrefrenabile curiosità in un clima di accettabile compostezza.

– … sì è in parecchi. –

– Ti sorprende?

– Immaginavo uno sparuto numero. –

– Cosa te lo faceva pensare? –

– … non saprei. –

– Siamo una comunità importante, non adeguatamente considerata dalla società. Oltre a questa, in città ci sono altre tre mense. In ogni angolo del mondo ci sono mense stracolme di poveri. Fai un calcolo approssimativo di tutte le città della nostra nazione, del mondo intero, è tutto ti sarà più chiaro. –

– Mica tanto. Non sono mai stato un genio in matematica. –

– Mi rincresce. Benarrivato! –

– … sei un bel tipo. Scommetto, che devo ritenermi fortunato di essere capitato da queste parti. –

– Giudicherai tu, nel tempo, se rimarrai con noi. –

– … cos’è, stufato? –

– Più o meno. Non pensarci nemmeno a confrontarlo con quello che hai mangiato nella tua vita passata. –

– … hai detto bene – concorda Stefano. – Aspetto le buone notizie. –

– Non spetta a me dartele. Non quelli che tu cerchi. Mi spiace, ma devi trovartele da solo. Stefano, sei entrato in un altro mondo. Un mondo di emarginati, alcolisti, dementi e drogati, come hai potuto osservare. All’inizio ti sembrerà di sognare, di avere degli incubi, ma alla fine ti abituerai. –

– Bel compito il tuo, quello d’iniziazione per i nuovi arrivati. Se pensavi di mettermi paura, be’, ci sei riuscito. –

– È solo l’inizio. Chi entra in questa grande famiglia, difficilmente ne esce. Vieni da lontano?

– Dodici ore di treno. –

– Tante. –

– Già. –

– Pensi di fermarti qui? – chiede Giulio.

– … perché no? L’accoglienza è ottima. Mi sembra un bel posticino – risponde con amara ironia Stefano.

– Sì, è un bel posticino. Se non sei troppo esigente, non ti deluderà. –

– … ho trovato un amico. –

– È così. Scommetto che stai pensando dove andare a dormire stanotte? –

– Indovinato! –

– Bene, gli amici servono anche per questo. Da stasera considerati mio ospite. –

– Già! Oggi è il mio giorno fortunato. –

“Nelle mani di nessuno”

Non si era illuso più di tanto, ma il pensiero di ritornare a dormire in macchina, per carità, si è assentato una sola notte, lo fa stare male. A distrarlo dai brutti pensieri ci pensa Antonio, il biondo, con il quale non si incontrava da qualche giorno.

«Ciao.»

«Ciao, come stai?» chiede Fabio, seduto sulla solita panchina della villa, con il quadernone poggiato accanto.

«Bene» risponde Antonio. «E tu?»

«Mah, cerchiamo di resistere» risponde con un sorriso amaro Fabio. «Inizio a chiedermi, ma resistere a cosa? Che si verifichi un miracolo? Io non credo ai miracoli.»

«Stai scrivendo?» domanda il biondo, volgendo lo sguardo sul quadernone.

«Poca roba; non per mancanza di idee, ma perché non ne ho voglia, sono giù di corda … credo che si noti.»

«No, mi sembri in ottima forma.»

«Ti ringrazio per le belle parole, ma non ci credo. Questa esperienza comincia a pesarmi sul serio, se non me ne esco al più presto, ci lascerò la pelle; o bene che vada, il mio cervello andrà in tilt» Fabio è in vena di confessioni, accolte da Antonio con un simpatico sorriso, come se si trattasse di una battuta. «Non sto scherzando, parlo sul serio» tiene a precisare l’uomo.

«Rido perché non credo che rimarrai qui a lungo, e nemmeno che il tuo cervello vada in tilt; è un’esperienza che dovevi fare, che probabilmente ti fortificherà, aiutandoti a conoscere meglio te stesso. Il destino ha voluto così.»

«Credi al destino?»

«Certo!»

«Pensavo che avessimo il libero arbitrio … »

«Non è proprio così; è il destino a governare la nostra vita.»

«E tutti i nostri sforzi, i sacrifici di una vita, sono uno spreco inutile di energie?» si domanda con amarezza Fabio.

«No» risponde Antonio. «Diciamo che le due cose si compensano; il destino traccia il nostro percorso e noi facciamo il resto; lo riempiamo, di cose utili o inutili; questo dipende da noi.»

«Tu come mai fai questa vita?» gli chiede Fabio, in un clima di reciproche confidenze.

«Perché sono povero, le mie risorse economiche non mi consentono una vita migliore.»

«Cosa facevi prima?»

«Il poliziotto.»

Fabio rimane perplesso.

«Poliziotto? E come mai sei finito qui?»

«Sono andato in pensione diversi anni fa per motivi di salute.»

Ecco spiegato il suo atteggiamento strano, quel modo di affrontare la vita, come il classico dei clochard, una categoria che, detto da lui, se trascurata nell’igiene, non ama. E lo dice uno che non si lava e non si cambia gli indumenti da chissà quanto tempo. Percepirà una pensione di invalidità, qualunque essa sia, sufficiente a garantirgli uno stile di vita più decoroso. “È ovvio che qualcosa nel suo cervello sia andato veramente in tilt. Non c’è da meravigliarsi, corro lo stesso rischio … sono sulla buona strada”, pensa Fabio, il quale non riesce ad esimersi nel fare una riflessione.

«Potresti prendere in affitto un piccolo monolocale, o una stanza … »

«In passato l’ho fatto» risponde serenamente Antonio. «Ho soggiornato in pensioni, preso in affitto piccoli appartamenti; ora sto attraversando un momento di crisi … »

Lui intende dire, crisi economica, ma è evidente che si tratti di problemi psicologici. È un vero peccato, perché il biondo è proprio un brav’uomo, sensibile e di buona cultura. È ammirevole ascoltarlo nei suoi lunghi monologhi di psicologia, filosofia; Fabio ne rimane incantato.

«Che studi hai fatto?»

«Ho un diploma come geometra. Non è quello che volevo fare, ma, soprattutto, mi dispiace di non aver continuato gli studi.»

«Avresti voluto intraprendere materie umanistiche?»

«Già!»

«Magari una laurea in filosofia e poter insegnarla.»

«Sarebbe stato il mio sogno; invece ho fatto quello che non desideravo, compreso il lavoro di poliziotto; ma era l’unico modo per avere la mia indipendenza. Alla fine ho pagato un caro prezzo; dovevo stare più attento, non essere troppo precipitoso … »

«È ciò che ha voluto il destino, giusto?» replica Fabio.

«Sì» risponde Antonio.

«E tu non potevi fare nulla per cambiarlo.»

«Sì, è così; anche se è vero che ci ho messo del mio perché le cose andassero in questo modo … non avrei nemmeno motivo di lamentarmi.»

Il pensiero dell’uomo non sembra essere molto chiaro, e anche un po’ contraddittorio, ma Fabio non intende mettere il dito nella piaga; anzi, cerca in qualche modo di infondere ottimismo.

«Le cose miglioreranno, ne sono sicuro!»

“Lo strano caso dell’invisibile scomparso”

Che stesse agitando le acque era più che palese, ma non immaginava minimamente che potesse essere invitato nella residenza privata della massima autorità religiosa della città: il Vescovo. Il segretario del religioso, tramite chiamata telefonica, non si sbilancia riguardo le motivazioni dell’invito, scegliendo per l’appuntamento metà mattinata, momento della colazione da condividere insieme. Il giornalista risponde di sentirsi onorato, e accetta l’invito. Essersi scomodato il Vescovo per parlargli di persona non è cosa da poco, chiunque al suo posto ne andrebbe fiero. Ma lui sa esattamente quale sarà l’argomento principale della loro conversazione; in modo diplomatico verrà esortato a non andarci pesante sull’articolo che sta scrivendo e, sulla stessa falsariga, il giovane col codino dovrà convincere il prelato della bontà del suo lavoro in favore dei diseredati. Per non mettere a disagio l’ospite, la colazione viene preparata in una stanza sobria, illuminata dalla luce del giorno. Seduti a un tavolo rotondo, uno di fronte all’altro, iniziano bevendo del latte macchiato, per poi proseguire con un cornetto integrale al miele.

«Tutto bene?» chiede il Vescovo.

«Sì» risponde il giornalista.

«Mi fa piacere. Ha una famiglia? Una moglie, dei figli?»

«Vivo insieme con la mia compagna; al momento non abbiamo figli.»

«Verranno. Spero che nel frattempo sancirete la vostra unione dinanzi a nostro Signore.»

«Sì, è probabile …»

«Non è credente?»

«Al riguardo ho le idee un po’ confuse; mi dispiace.»

«Non ponga resistenza, si affidi alle forze celesti, vedrà che sapranno guidarlo.»

«Le prometto che ci penserò su» dice con un simpatico sorriso l’uomo col codino.

«È già un buon inizio» replica il Vescovo. «So che è un bravo giornalista.»

«Grazie. È un lavoro che mi piace.»

«Ho potuto notare leggendo alcuni suoi articoli un chiaro interessamento ai temi sociali.»

«Scrivere mi permette di vivere e io, per quanto possibile, cerco di ricambiare rendendomi utile. Immagino che sia a conoscenza che sto scrivendo un articolo su Massimo, il senza fissa dimora scomparso più di due anni fa» dice il giornalista, venendo al sodo della questione.

«Sì» risponde il Vescovo.

«La mia presenza qui è dovuta a questo, se ho capito bene» il giornalista cerca di stringere i tempi.

«Vedo che è molto concreto.»

«Inutile girarci intorno.»

«Ha ragione; non è mia intenzione rubarle del tempo prezioso. Sì, il motivo del suo invito è legato all’articolo che sta scrivendo, o vogliamo chiamarla inchiesta?»

«Faccia lei. Si è sparsa la voce rapidamente.»

«Siamo una famiglia.»

«È un termine che si usa anche in ambienti poco raccomandabili» osserva il giornalista, mettendo in chiaro sin da subito di non provare particolari simpatie nei confronti del sistema ecclesiastico.

«Un accostamento poco felice da parte sua» ammonisce il Vescovo.

«Mi perdoni. Sono stato probabilmente frainteso; lungi da me nel fare simili paragoni.»

«Del caffè?»

«Sì, grazie.»

Il prelato versa la bevanda scura in due tazze.

«Quando pensa di pubblicare il suo articolo?»

«Ancora non ho idea; potrebbero passare giorni. Credo che non verrà pubblicato per intero, ma a spezzoni.»

«Lungo e impegnativo» osserva il religioso.

«Sì.»

«Una specie di racconto a puntate.»

«Qualcosa di simile.»

«Che non riguarderà esclusivamente la triste vicenda di Massimo.»

«A mio avviso sarebbe riduttivo.»

«Quindi includerà le parti religiose, la Caritas, le associazioni di volontariato … »

«Impossibile escluderle.»

«Viviamo tempi difficili, ci si fa continuamente guerra l’uno contro l’altro, ci muoviamo perennemente in un clima di sospetti, non ci fidiamo più di nessuno, neppure del nostro migliore amico. La società rischia di cadere nel volere del diavolo. Noi, come Cristiani, cerchiamo in tutti i modi di esorcizzare il male, ma c’è bisogno della volontà di tutti, anche di coloro che si professano non credenti e sono pronti al momento opportuno di attaccarci come se fossimo delle belve. Se veramente perseguiamo la stessa meta dobbiamo stare uniti e non remare contro, o peggio ancora, creare forti tensioni che mettono in dubbio la nostra opera.»

«Non farei nulla che possa nuocere coloro che vivono in condizioni di estremo disagio; credevo che fosse chiaro» afferma il giornalista.

«Non ho dubbi su quanto asserisce» commenta il prelato. «Ma può succedere che non ci si renda conto di avere le idee confuse, rischiando di portare avanti un’azione sbagliata, deleteria per i nostri sfortunati fratelli.»

«L’ho già sentita questa frase.»

«Riconosco che è in buona fede, nessuno ce l’ha con lei, ma è altrettanto vero che la sua analisi è fortemente condizionata dalla misteriosa scomparsa di Massimo e, credo di non sbagliare, dalla morte per assideramento qualche anno fa di un nostro caro fratello, che probabilmente lei voleva aiutare tirandolo fuori da quella cruda realtà.»

«Non ho avuto il tempo … » replica con un’espressione triste il giornalista.

«Il suo stato d’animo è comprensibile, che è, deve crederci, uguale al nostro; non è schierandosi contro di noi che risolverà i problemi di tanta povera gente, si sforzi di capirlo.»

«Mi sta chiedendo uno sforzo notevole.»

«Vale la pena provarci.»

«Di solito mi lascio guidare dal mio istinto.»

«Pregherò per lei.»