Racconti: IL RAGAZZO DI SAN BENEDETTO, Laura Boero  

da “SI RIPARANO RICORDI” 

Questa testimonianza  rientra un po’ in quelle che io chiamo storie paranormali ma prima di raccontarla vorrei fare una piccola  premessa relativa alla persona che ha vissuto in prima persona l’esperienza che riporterò dopo: mio padre, Aldo Boero, “Genovese” di vecchio stampo.

In poche parole, mio padre era il classico genovese disegnato dai cliché; di poche, pochissime parole, introverso, chiuso, comunicava poco, lo faceva esclusivamente con mia madre ma noi figlie  suppongo fossimo un po’troppo in basso nella sua scala dei valori e quindi non si sforzava di conoscerci né di farsi conoscere, appartenevamo ad un universo femminile a lui sconosciuto e non di sua competenza.

Viveva pertanto nel suo splendido isolamento, costantemente impegnato, nel tempo libero dal lavoro a dipingere , attività che risucchiava tutta le sue energie fisiche e mentali. 

Mio padre non era un pittore della domenica, la pittura non era un hobby per lui, era  l’unico modo in cui sapeva esprimersi. 

Dico questo perché così si potrà capire come sia abbastanza eccezionale che io abbia ascoltato questa testimonianza dalla sua viva voce e, considerato il tipo, credo fermamente a tutto quello che mi ha raccontato.

La Chiesa dove si è svolta è la Parrocchia di S.Trinità e S.Benedetto al porto, a Genova, una volta conosciuta come S. Benedetto di Fassolo.

Io sono stata battezzata lì e tuttora la Chiesa resiste, soffocata da altri palazzi, nella zona del porto.

Era la chiesa gentilizia della famiglia Doria fino dal 1500 e con il nome di S.Benedetto di Fassolo era stata promossa a parrocchia privata per tutti i possedimenti della famiglia in quella zona, con relativa cripta dove ne venivano sepolti i membri. 

Negli anni 30, quando si riferiscono i fatti che narro di seguito, questo gioiellino era una normale parrocchia con tanto di oratorio dove i ragazzi si ritrovavano per le lezioni di Catechismo e per giocare. 

Aveva una terrazza o un cortile dove si poteva tirare il pallone e qualche volta (anche se era proibito) i giochi si estendevano anche all’interno della Chiesa stessa.

Uno dei preferiti, mi aveva detto mio padre, era “nascondino” o “tana”, dove se anche uno solo dei ” ricercati “riusciva a raggiungere la tana prima che il ” cercatore ” lo avesse scovato, avrebbe liberato tutti i suoi compagni ed il gioco avrebbe ripreso daccapo con il ” cercatore ” di nuovo condannato a cercare di stanare i fuggitivi.

Noi, della nostra generazione, penso, ci abbiamo giocato tutti.

Tutto quello che serviva era un gruppetto di bambini e un cortile con qualche nascondiglio. 

Ora il cortile dell’oratorio della Parrocchia  nascondigli ne aveva pochi e molto spesso i ragazzi si nascondevano in Chiesa, tra i Confessionali o si accovacciavano dietro ai banchi o alle colonne

Una volta (quella volta) era quasi il tramonto, mio padre, dopo aver scovato quasi tutti suoi compagni nascosti, si accorse che ne mancava ancora uno all’appello.

Era il più pericoloso, quello che se fosse arrivato a tana prima di lui, avrebbe liberato tutti .

Entrò quindi in Chiesa e nella penombra lo vide a fianco di un Confessionale

” Tò pigiou !” gli gridò in genovese ( ti ho preso !), ma quello stranamente non si mosse, lo guardava fisso, mi disse mio padre, e quello sguardo senza espressione  non se lo sarebbe mai dimenticato.

Non era il compagno di giochi, era un altro, intanto sentì fuori una voce stentorea 

” Liberi Tutti !!” 

Il compagno, l’ultimo, era andato a tana mentre lui era in Chiesa, il ragazzo dallo sguardo fisso si era dissolto.

Mio padre non andò mai più a giocare in Parrocchia.