Una piacevolissima scoperta questa giovane autrice e il suo romanzo on the road LA QUARTA DIMENSIONE DEL TEMPO! Siete curiosi? Ecco a voi la splendida intervista che le ho fatto!

Ciao Anna! Intanto grazie per aver pensato a questa intervista. Mi chiamo Ilaria e sono toscana, per la precisione, pisana. La mia caratteristica preminente è quella di essere una grande cinefila, da sempre. Il cinema – senza particolari preclusioni, tutto mi incuriosisce e affascina – è infatti la mia più grande passione. L’amore per la scrittura, per le storie, a voler essere più precisi, nasce da lì: dal sogno, enorme, fanciullesco e senz’altro sciocco, di veder trasposto un mio romanzo!

Come nasce il tuo romanzo?
Mi rifaccio alla risposta precedente: le storie che mi affiorano alla mente nascono di solito da immagini. Possono essere dettagli – il più delle volte lo sono – che, una volta ripensati e rielaborati, acquisiscono un senso via via più compiuto, non di rado del tutto diverso da quello di partenza. Nel caso de “La quarta dimensione del tempo”, la prima immagine su cui ho lavorato compare nel finale (dunque non posso spoilerarla!). Da lì ho cercato di trovare le altre tessere del puzzle, fino a comporre una mia personale sinfonia. In linea con ciò che preferisco delle storie, anche questa non dovrebbe giungere a un esito granitico o a un qualche insegnamento morale o, peggio, moralistico (giammai); non ho nulla da insegnare e non ho ricette buone per tutti, ho solo voglia di raccontare delle storie. I lettori, se sarò fortunata, alla fine del viaggio ne sapranno molto più di me.


Cos’è la quarta dimensione del tempo? 
Più di tutto, è un moto dell’animo, un’idea astratta di perdita e, al tempo stesso, di necessità. In James, da tempo affaccendato in una vita frenetica, mondana, emerge una consapevolezza nuova, o sopita per anni da qualche parte; è come una sorta di epifania.

Quanto hanno influito le tue letture e i film che hai visto su questa stesura?
Credo che ognuno di noi sia le storie che ha incontrato perché in un certo senso corrispondono alle vite che ha vissuto. Quindi senza dubbio le mie piccole ispirazioni sono, in modo più o meno cosciente, legate a ciò che ho visto, letto, amato. Qualche anno fa, su Vice, uscì un articolo basato su un esperimento: Matthew Jockers, un professore inglese, ha sottoposto a un algoritmo cinquantamila trame. Ne sono risultati sei, massimo sette, modelli basilari, archetipici. Sembra incredibile (del resto, lo stesso Christopher Brooker parlava di seven basic plot structures, anche se non tutti sono concordi con questa specie di classificazione), ma se ci pensiamo bene, non lo è. La nostra creatività è tanto più potente e misteriosa quanto più abbandoniamo l’idea irraggiungibile di unicità. I tragici greci avevano già detto tutto, Shakespeare ha già detto tutto, scandagliando ogni anfratto dell’animo umano, eppure non esisterà un’implosione per le storie. Continueremo a raccontare di amori giovanili, contrastati dalle famiglie e non sarà “Romeo e Giulietta”, sarà la nostra storia. Per chi volesse leggere l’articolo di Ben Richmond su Vice, eccolo qui: https://www.vice.com/it/article/8qxkkb/computers-find-that-there-are-six-plots


Ho molto amato il personaggio di Clara, ti sei ispirata a persone reali per lei e gli altri?
Non ho un’ispirazione reale per nessuno dei miei personaggi, ma ho in testa un cast ideale, sempre per quell’utopia infantile del cinema! Per James Murray sceglierei Sam Rockwell, per Gavin Doyle, Colin Farrell, ricostituendo la meravigliosa coppia di “7 psicopatici”. Gus potrebbe essere uno sdrucitissimo Benicio Del Toro mentre Clara sarebbe perfetta con il volto e l’energia di Frances McDormand.

Perché hai scelto gli Usa? Ci sei mai stata? Te lo chiedo perché sembra di sì per quanto hai descritto luoghi e atmosfere.
Ho scelto gli USA perché sono, almeno per un certo tipo di immaginario, il luogo del sogno cinematografico. Torniamo sempre lì! Infatti è proprio in quei luoghi, scrutati con l’alterità curiosa di una straniera, che la mia immaginazione si è forgiata: da John Ford a John Huston fino a Sam Peckimpah, da Quentin Tarantino ai fratelli Coen. E ancora, da Sergio Leone a Martin McDonagh, quest’ultimo regista, sceneggiatore e grande drammaturgo (prima di tutto), che americani non sono, ma a un certo modo di narrare hanno saputo o sanno rifarsi assai bene. Si parva licet, “C’era una volta in America” è per me una storia del cinema, intrisa di istanze proustiane, molto più di quanto non sia una storia di gangster o una americana in senso stretto.Ho scelto l’America, sebbene in effetti non ci sia mai stata (ma non diciamolo troppo in giro!), non per provincialismo, ma perché ritenevo che proprio lì dovesse radicarsi la storia di sradicati – perdona il gioco di parole – che avevo intenzione di raccontare.


Nonostante l’ironia, soprattutto nei dialoghi, affronti temi importanti come il rapporto genitori figli in situazioni difficili. Vuoi argomentarlo?
Mi è piaciuto provare a trovare un equilibrio tra argomenti seri – legami familiari interrotti, immigrazione clandestina e razzismo, per esempio – e tono ironico, a volte scanzonato. Credo che questa scelta, o almeno era così nella mia idea, non generi un livellamento verso il basso della tensione drammatica, ma anzi, attraverso una sorta di straniamento, aiuti a immergersi con maggiore convinzione nelle vicende dei personaggi. Il fool, Gus Hart, se ci pensiamo bene, è un personaggio quasi tragico, nella sua solitudine stralunata di reietto. Eppure fa ridere, o dovrebbe!  


Prossimi progetti?
Come si suol dire, qualcosa bolle in pentola. Però, anche a causa della sindrome dell’impostore, che mi attanaglia e che mi fa giudicare mediocre, irrimediabilmente, ogni mio scritto, devo ancora lavorare un po’, prima di ritenermi – forse – sufficientemente soddisfatta! Inoltre c’è un progetto ancora solo in potenza, che spero comunque di portare a termine nei prossimi mesi, grazie al lavoro con una validissima editor, toscana pure lei, Erika Sanciu. Incrocio le dita e ti ringrazio per questa bella chiacchierata. 

E noi ti facciamo tantissimi in bocca al lupo e ancora complimenti per il tuo bellissimo romanzo!

Anna Pasquini – Alessandria Today