Daniele Borioli

La Scuola resiste e rimane, finché ce la fa. Finché ce la fanno dirigenti scolastici, inse-gnanti e operatori. Lasciati sostanzialmen-te soli a gestire una condizione che nessu-no, proprio nessuno, neppure il “Governo dei migliori”, aveva immaginato. L’ottimo andamento della campagna vaccinale du-rante i mesi della primavera e dell’estate (questo va riconosciuto come indubbio merito del vertice nazionale e delle artico-lazioni regionali) ha illuso tutti che il peg-gio fosse alle spalle e indotto a puntare con “leggerezza” sull’obiettivo degli obiet-tivi: il ritorno a scuola in presenza.

Le pagine dei giornali e le registrazioni dei notiziari radiotelevisivi risalenti a quel non lontano periodo espongono un’avvincente antologia degli encomi ricevuti dall’Italia per la “gestione della pandemia”, soprattutto sul fronte delle vaccinazioni. Encomi per molti aspetti meritati, sia chiaro. Ma anche insidiosi induttori di un certo trionfalismo, che ha indotto un po’ tutti, a cominciare dalle più alte autorità governative, a pensare che il peggio fosse alle spalle e che, senza particolare sforzi e accorgimenti operativi, l’ultimo miglio, quello del ristabilimento della normalità scolastica, si sarebbe percorso in scioltezza.

Errore fatale, certo in buona parte causato dall’imprevista (almeno nei termini di rapidità ed espansività con la quale si è presentata) irruzione di omicron, ma in altrettanto buona parte dovuto all’inadeguatezza delle misure programmate e pensate, da chi ne avrebbe avuto onere e competenza, per rendere il ritorno in classe non una scommessa ma un processo razionalmente costruito con tutte le prassi necessarie a renderlo il meno caotico e rischioso possibile.

L’elenco completo delle cose non fatte sarebbe lunghissimo. Ne accenniamo random soltanto alcune. Tardiva è stata la decisione di imporre l’obbligo vaccinale al personale insegnante e, più in generale, a coloro che operano nella scuola a contatto con gli alunni e gli studenti. Questo ha facilitato la diffusione del contagio, impedendone un maggior contenimento nel periodo precedente la pausa delle festività di fine anno di inizio dell’anno nuovo. Di conseguenza, insuffi-ciente è risultata la dotazione finanziaria e di risorse umane dedicate al cosiddetto “organico Covid”, vale a dire al personale destinato a coprire le assenze degli inse-gnanti causati da patologie e quarantene legate al virus. Una carenza dalla quale, oltre agli aspetti critici di carattere sanita-rio, è scaturita una inevitabilmente preca-ria qualità della didattica somministrabile e somministrata.

Totalmente assente è stata la capacità, forse neppure immaginata in vista della riapertura, di programmare secondo un’im-postazione pragmatica coerente con l’ordi-ne prioritario assegnato, sul piano comuni-cativo, allo slogan “tutti a scuola”, un siste-ma di allerta, monitoraggio e trattamento sanitario specificamente indirizzato alla comunità scolastica nel suo insieme (di-scenti, docenti, personale in genere, fami-glie).

Solo in questi ultimi giorni il ministro ha parlato dell’ipotesi di istituire “centri ad hoc per la scuola”. Quando molte delle vacche sono purtroppo scappate dalla stalla e si aggirano spaesate tra farmacie e presidi medici vari (sostenendo per questo anche inevitabili costi) migliaia di famiglie “alla ricerca del tampone che non c’è”. Mentre, la precoce istituzione di una fitta rete terri-toriale di centri dedicati a tamponi e vacci-nazioni, verso cui indirizzare i protagonisti della vita scolastica, avrebbe consentito di razionalizzare e velocizzare di tutte le ope-razioni collegate alla frequenza scolastica in salute e sicurezza, evitando il grave disa-gio provocato a migliaia di famiglie.

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La Scuola ce la fa, nonostante tutto