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Se diventerò famoso anch’io, magari non famosissimo ma faccio anche solo un po’ di successo, di sicuro ci sarà un giornalista che mi domanderà quali sono i libri che hanno influenzato il mio modo di scrivere. Allora gli dovrò spiegare – o le dovrò spiegare, se sarà una giornalista donna, come è molto probabile, anzi quasi sicuro –, che proprio per non essere influenzato da altri libri, prima di mettermi a scrivere il mio romanzo sono stato un bel po’ di tempo senza leggere niente, e quel periodo l’ho utilizzato solo per scrivere questa introduzione; e lei, chissà, mi dirà: «Un po’ lunga come introduzione». E io le risponderò: «Sì, un po’».

Mi sto accorgendo che questa cosa della lunghezza sta davvero prendendomi la mano e va a finire che mi ci fisso, e per un autore non c’è cosa peggiore di fissarsi con qualcosa.

Questo me lo disse un mio amico che voleva fare lo scrittore ma non gli riusciva, e secondo me non gli riusciva proprio perché si fissava troppo sulle cose, e andava a finire che scriveva volumi di duecento o trecento pagine dove diceva sempre la solita cosa.

Un errore da principiante, in verità: perché, quando si scrive, la prima regola è proprio non scrivere sempre la stessa cosa.

(Tratto da La vita è solamente una malattia mortale sessualmente trasmissibile? J. Iobiz, 2021)

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