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La seconda regola è avere le idee chiare; non si scrive perché si vuole scrivere qualcosa ma perché si ha qualcosa da dire. Anche questo lo ha detto uno scrittore famoso, ma non mi ricordo chi. Per quanto mi riguarda credo di avere le carte in regola: qualcosa da dire ce l’ho, e spero anche che ci sarà qualcuno ad ascoltare, cioè a leggere questo mio nuovo libro, e non mi succeda come quando scrissi un altro libro – che però era senza introduzione – che lo comprarono solo gli amici e i parenti – e per fortuna ne ho molti.

Che poi, tutti mi dicevano che quel libro lì era un libro triste, e io dicevo di no, ma invece avevano ragione loro.  E c’era un motivo, ma io l’ho capito dopo, quando mi accadde di ascoltare uno scrittore famoso; uno bravo, che ora scrive romanzi gotici ma da giovane scriveva poesie e poi ha smesso di scriverle perché un poeta di successo gli aveva detto che i suoi componimenti non andavano bene, perché li scriveva con le lacrime agli occhi. Roba da dilettanti, gli aveva detto. Perché se le poesie si scrivono con le lacrime agli occhi, queste cadono sul foglio e finiscono per confondere ogni cosa. Si deve scrivere con il ricordo delle lacrime, e non con le lacrime agli occhi. Così gli disse quel poeta famoso.

Ecco, quando io scrissi quel libro di cui parlavo prima, quello che tutti dicevano che era triste, io non le avevo le lacrime agli occhi. Volevo solo che quel libro venisse pubblicato da qualche editore, e non che mi fosse rispedito indietro dicendomi che i racconti non avevano un filo conduttore; e allora mi venne l’idea di scegliere tra tutti i racconti che avevo scritto quelli che avevano un nesso tra loro e si assomigliavano di più. Dopo ho capito che si assomigliavano perché erano tutti tristi.

(Tratto da La vita è solamente una malattia mortale sessualmente trasmissibile? J. Iobiz, 2021)

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