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Mi sono convinto che per scrivere buoni romanzi occorre conoscere un sacco di cose, e l’unico modo per conoscere un sacco di cose è quello di leggere un sacco di libri; e per leggere un sacco di libri ci vuole un sacco di tempo. E quindi, se non hai tempo a sufficienza, se devi lavorare, hai famiglia o hai degli hobby impegnativi come suonare la tromba o fare il tifo per una squadra di Serie A, va a finire che non conosci bene tutte le cose come si deve. Che poi ti succede che non scrivi nulla di buono, oppure scrivi la storia di un cowboy che assomiglia a un contadino bavarese o di un americano che ha perso la Seconda guerra mondiale o qualcosa di questo tipo.

Con il tempo, invece, puoi conoscere tante cose. Io, per esempio, con il tempo ho conosciuto un giovanotto napoletano, tanti anni fa, che mi ha raccontato tutto su come funziona la città di Napoli, e me lo ha spiegato così bene che mi ero anche convinto, tanti anni fa, che ci avrei potuto scrivere un libro, ma poi il libro non l’ho scritto perché il tempo mi ha fatto morire quell’idea, ed è stato meglio così perché io da solo non ce l’avrei fatta a eliminarla dal mio cervello.

O forse, quel libro lì non l’ho scritto, tanti anni fa e neppure pochi anni fa, e neppure ora, e neppure penso che lo scriverò tra qualche anno, perché in quel periodo suonavo il sassofono, e quando uno suona il sassofono per diverse ore al giorno non gli resta tanto tempo per fare altre cose, come per esempio scrivere un libro su Napoli o anche solo cercare di capire cosa fare per andare d’accordo con i suoi vicini di casa. Questo è il succo del discorso: lasciare al tempo la possibilità di fare il suo lavoro è una cosa indispensabile. Il tempo ti fa nascere nuove idee e te ne fa morire altre, che magari è giusto che facciano proprio quella fine lì ma te, da solo e senza il suo aiuto, non avresti mai avuto il coraggio di farle fuori.

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(Tratto da La vita è solo una malattia mortale sessualmente trasmissibile? J. Iobiz, 2021)