Questa guerra è una matrioska.  La prima bambola cava è la politica espansiva della Nato nei paesi dell’Est (a ben vedere la Nato non ha mai fatto entrare l’Ucraina), che racchiude la bambola della sindrome dell’accerchiamento,  che racchiude il nazionalismo russo, che racchiude a sua volta il vecchio comunismo russo, che racchiude infine la follia di Putin. Alla fine c’è un uomo con dei gravi conflitti intrapsichici. Putin non si sa riappacificare col mondo perché non si sa riappacificare con sé stesso e ciò non è affatto un’attenuante o una giustificazione perché è responsabile di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità.  Mi piacerebbe ripercorrere a ritroso la sua vita. Mi chiedo quando sia arrivato al punto di non ritorno, se sia stato un fatto singolo o una sommatoria di piccoli eventi, se sia stato insomma un grave trauma o una serie di microtraumi. Tutto ciò mi ricorda la poesia sulla fotografia di Hitler della Szymborska.  Ora gli insegnanti di storia non sbadigliano. Putin li ha risvegliati tutti dal loro torpore.  Mi ha sempre affascinato come la Storia per l’appunto con la S maiuscola si intrecci e a volte sia determinata dalla storia con la s minuscola. In questo caso i complessi, le frustrazioni, le patologie di un uomo si ripercuotono su un popolo, ne determinano la tragedia collettiva, che determina infine milioni di drammi degli ucraini. È un circolo vizioso, un processo infinito quello che lega la grande Storia alla piccola storia. Mi chiedo anche se Putin abbia una coscienza o forse si è solo dimenticato di averla. Basterebbe che invece di sostenere i suoi generali e di essere sostenuto a sua volta da loro si raccogliesse in silenzio, si facesse un esame di coscienza e si chiedesse: dove sto portando il mondo? Che cosa sto facendo? Quante morti ho sulla coscienza?

Qualcuno potrebbe obiettare che non si tratta di follia, ma solo di mentalità diversa. Montaigne era il padre del relativismo e dell’antropologia. Secondo il filosofo francese consideriamo superiore la nostra civiltà in base all’abitudine,  in base ai nostri usi e costumi. Ma noi italiani non ci consideriamo assolutamente superiori ai russi, che sono un grande popolo e sappiamo bene che la cultura russa è europea (non si può parlare di nichilismo senza citare Dostoevskij e Turgenev). No. Non è affatto questione di mentalità diversa. Il popolo russo ha come valore fondante la sacralità della vita, proprio come noi occidentali. 

Il problema dell’Occidente, dei russi in dissenso e di tutti gli uomini di buona volontà è come fermare Putin. La questione cruciale è che quella russa è una dittatura. Secondo Popper quello che distingue la democrazia dalla dittatura è che la prima può autocorreggersi. Il problema non è essere a favore o contro la pace. Tutti o quasi sono a favore della pace qui da noi. Il nodo da sciogliere è come ottenerla. Bisognerebbe trattare senza intervenire secondo alcuni. Secondo altri si presterebbe i fianchi, Putin ne uscirebbe rafforzato e rilancerebbe l’offensiva, aumentando a dismisura le mire espansionistiche. Siamo in precario equilibrio. Bisogna a mio avviso sostenere il popolo ucraino senza che si scateni la guerra nucleare. La questione è molto delicata. 

Tre cose contraddistinguono Putin: la sua follia, il suo carisma, la sua propaganda. Con la seconda e la terza inganna i suoi gerarchi e il suo popolo. La televisione russa manda ore ed ore di filmati, in cui si vedono soldati russi accolti festosamente dagli ucraini. Moltissimi soldati russi sono partiti per la guerra pensando di fare una semplice esercitazione. 

Secondo alcuni non si dovrebbe armare gli ucraini, si dovrebbe smettere di applicare sanzioni alla Russia, bisognerebbe lasciar fare Putin in Ucraina, lasciargliela quanto prima conquistare. Ma i fautori del sacrificio minimo e necessario non  contemplano sufficientemente che il dittatore può alzare la posta, autoesaltandosi per la vittoria sull’Ucraina. Ascoltavo oggi  “Auschwitz” di Guccini: “Quando è che sarà che l’uomo imparerà a vivere senza ammazzare?”. Secondo alcuni la storia è maestra di vita, però gli stessi dicono che noi uomini siamo somari che non abbiamo imparato niente perché siamo ignoranti, non abbiamo memoria storica, non traiano insegnamenti utili per la nostra stupidità. Popper ha scritto “La miseria dello storicismo”, dove ha sostenuto che la storia non ha un senso, che dal passato non si può prevedere il futuro, che i fatti storici non si ripetono perché sempre diversi sono i contesti e le situazioni, che dalla storia non si possono desumere delle leggi (che dovrebbero essere provate empiricamente) ma solo delle tendenze generali. Due scuole di pensiero contrapposte insomma. Nel nostro piccolo per esempio diciamo tutti che l’esperienza insegna e non si compra al mercato, ma esercitando un minimo il buon senso ci accorgiamo che spesso ragioniamo solo col senno del poi e pensare di imparare dagli errori della nostra vita è solo un’ingenua credenza, una convinzione che sosteniamo in modo acceso ma senza molti riscontri oggettivi da portare a favore di essa. 

Un folle potrebbe premere il pulsante. La follia nucleare potrebbe essere prossima. Diciamo che non si può escludere niente a priori e che mai come ora siamo stati così vicini. Ogni trattativa è una guerra psicologica. La Russia considera nemici anche i social network perché anonimi cittadini possono scrivere che il re è nudo, pardon, che il folle è sanguinario. Nel frattempo i mass media ci mostrano l’orrore della guerra. Per Putin gli ucraini sono cose, sono mezzi per arrivare alla conquista. Nella sua testa avviene la reificazione, la cosificazione del popolo ucraino. Per lui gli ucraini sono carne da macello. La vecchia chiave di lettura ideologica è fuorviante: non ci sono più neanche capitalismo e comunismo, ma due capitalismi, uno in crisi per le sanzioni e uno per i rincari. Niente altro. Rileggevo Heidegger.  In Essere e tempo tratta dell’essere per la morte. Scrive, semplificando, che la morte altrui ci avvicina agli altri, è un modo per relazionarsi agli altri, a meno che non domini il si impersonale, però la morte è soprattutto la mia morte. Per vivere autenticamente bisogna quindi pensare alla morte degli altri, a quella della nostra civiltà e cosa che ci risulta meno facile e immediata alla nostra morte. Ho riletto alcune poesie di Brecht. Ho cercato tra i suoi versi delle risposte. In “A coloro che verranno” scrive: “Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie./ Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini./ Feci all’amore senza badarci/ e la natura la guardai con impazienza./ Cosí il tempo passò/

che sulla terra m’era stato dato”. È venuta l’ora per ognuno di fare l’esame di coscienza. Forse l’umanità futura e Dio giudicheranno con indulgenza il nostro far “l’amore senza badarci”, visti e considerati i tempi. Ma ho riletto anche la bellissima “Tempi grami per la lirica, in cui scrive: “Dentro di me si affrontano/ l’entusiasmo per il melo in fiore/ e l’orrore per i discorsi dell’imbianchino./ Ma solo il secondo impulso/ mi spinge alla scrivania” (l’imbianchino era Hitler che da giovane era stato un aspirante pittore).

Davide Morelli