Michela Santini

Sono sempre più convinta che i professori siano avatar. Corpi che prendono vita intorno e dentro le mura di una scuola. Quando questa chiude, vengono conservati in appositi contenitori fino alla lezione successiva.

Non si spiega altrimenti il fatto che fuori socializzino, abbiano interessi, frequentino amici, allevino figli, senza aggiornare i registri; dare voti; fare l’appello; interrogare.

Quando li incrocio nei giorni liberi, sono rilassati, i visi distesi, il sorriso evidente. Anche un po’ sorpresi, come se non fosse chiaro in loro, questo cambio repentino di controllo una volta varcata la soglia del mondo dell’istruzione.

Anche i colori dei vestiti subiscono un mutamento. Li ho visti uscire in gruppo durante la ricreazione, in fila per due come i Men in black, uomini e donne in abiti scuri e dal taglio istituzionale, (perché questo richiede l’ambiente scolastico, rigore e conformismo), diretti al bar più vicino per consumare uno spuntino frugale, un caffè rapido ma ben fatto, cinque minuti di aria per poi rientrare sussurrando brevi parole di contorno, sempre nel rispetto del proprio avatar. La disinvoltura non sarebbe tollerata, c’è una masnada brufolosa da istruire ricorrendo al libro di istruzioni mai aggiornato con i tempi.

Secondo me, alcuni avatar subiscono un effetto positivo: nel loro salutare quando entrano, sedere in cattedra o scrivere alla lavagna, c’è un che di inedito, una formattazione mal eseguita, chissà, vanno a braccio, attrezzati di uno strato di fresco che non opacizza e non si macchia, e guardando gli studenti e trovandoli ingestibili, vedono risorse, tante testoline atomiche munite di occhi vivaci e bocche sonore che interagiscono trasmettendo gioventù e assorbendo passione, più che nozioni. Tolto il controllo degli avatar, quegli insegnanti escono come ricaricati.

Altri guardano gli studenti e li trovano incomprensibilmente vivi, un brulicare di pop e colore, esserini smaniosi e frenetici, che riempiono quattro mura pulsando per ore come la batteria di Tullio de Piscopo, tormentando il povero o la povera insegnante che quando stacca ha bisogno di una full immersion nell’ovatta.

Per ricominciare il giorno dopo.

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