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LUCIO ZANIBONI, ALTISSIMA TESTIMONIANZA DI UN SECOLO DI POESIA  PREFAZIONE  DI CARMELO ALIBERTI E NOTA CRITICA DI JEAN IGOR GHIDINA 

DELLA ARMONIA CELESTE: UN VANGELO POETICO CHE INNALZA L’ANIMA DALLA PALUDE TERRESTRE AL LUCIO ZANIBONI, ALTISSIMA TESTIMONIANZA DI UN SECOLO DI POESIA,  TESTIMONIANZA ESEMPLARE DEL MODERNO VIAGGIO DANTESCO DAL BUIO TELEOLOGICO ALL’APPRODO GIARDINO CELESTE

di Carmelo Aliberti

LUCIO ZANIBONI  poeta, scrittore e critico letterario, ha ricevuto il PREMIO ALLA CULTURA nel Premio Internazionale TERZO MILLENNIO-24live,svoltosi a PORTO SALVO di Barcellona P.G.(Messina).

“LUCIO  ZANIBONI è nato a Modena ma vive a Lecco. Ha insegnato in scuole di ogni ordine e grado. Le molte raccolte di poesia hanno avuto le prefazioni di: Bellezza, Cappi, Esposito, Lanza, Manacorda , Martelli, Moretti, Pazzi, Piromalli, Rea, Ruffilli, Sanesi, Squarotti, Ulivi e Valli. È stato segnalato al Premio Internazionale Montale, Ha vinto premi importanti e due volte il Premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha pubblicato sette Antologie dei migliori poeti contemporanei e sulla sua opera sono state svolte due Tesi di Laurea. È stato tradotto in francese, inglese, greco, spagnolo, portoghese, cinese e albanese. È stato inserito in Storia della letteratura Italiana – Il Secondo Novecento 1993. e in Poeti latini tradotti da autori italiani(Bompiani.) A 17 anni iniziava la collaborazioni con il giornale letterario (Gastaldi) Milano. A 24 era tra i giovanissimi nella: Antologia “Poeti del nostro Tempo” (Primo poeta inserito Giovanni Papini) Edizioni Cinzia Firenze. Numerose collaborazioni a riviste prima del primo libro edito per iniziativa di un gruppo di colleghi della scuola”.  Ecco la motivazione del PREMIO ALLA CULTURA TERZO MILLENNIO assegnato al poeta ZANIBONI e incisa sulla preziosa Targa: “alta voce limpida e penetrante della poesia contemporanea, degno erede della nostra migliore civiltà culturale, vero Maestro di critica letteraria che  riesce a rendere fruibile il testo  e a captarne la reale dimensione interiore”.Lucio Zaniboni, nato a Modena, vive a Lecco, dove si specchia, nell’azzurrità suprema delle limpide acque del famoso  manzoniano Lago, il suo cuore immenso di grande poeta, impegnato da una vita a coltivare il giardino celeste di indicibile bellezza che respira la purezza divina del paesaggio, che nessuno escremento etico riesce ad insozzare di squallide miserie umane. Poeta, critico letterario e  narratore, collaboratore di giornali e riviste e curatore di otto famose antologie critiche della migliore poesia di questi anni, ha al suo attivo la produzione personale di molte raccolte di versi, di elevata tessitura verbale e nominale, ingemmata di lessemi,stilemi,simili a rare ed equamente distribuite gemme riecheggianti e rilucenti di una rara fosforescenza lirica che si ricompone armonicamente sulla potente tastiera del pentagramma tematico,connotativo della poesia di Lucio Zaniboni di tante diversificate note musicali e strutturali, idonee a  collocarla tra le voci più alte e coinvolgente della produzione lirica degli ultimi 100 anni.     La poesia di Zaniboni può essere definita come un invisibile “orecchio cosmico”, teso a catturare l’eco di ogni suono, i lievi bisbigli della cronaca, le veliniche immagini delle cose, i palpiti sottesi dell’alfabeto dei minimi o macroscopici eventi quotidiani in un’umile e omogenea sinfonia universale, dove la cognizione del tempo si scioglie nel naufragio della luce e il disinganno del paradosso si trasforma in sentimento ferito d’amore appena venato dal tono sottile di un’ironia disciolta e resa evanescente dal vento lieve di una misurata musicalità che fermenta in armonie omogenee tra i minuscoli spazi interni dei versi. Le sequenze del flusso poetico scivolano tra le pagine senza alcun ingorgo di termini, di suoni o di sovrastrutture elaborative che ostacolino la captazione più profonda dell’invisibile colloquio sapienziale del sentimento del poeta con i bisbigli o le onde segrete delle mille voci e delle apparente staticità delle immagini. Da ciò discende un infrangibile rapporto dell’uomo con la natura e il vento diventa allegoria di ogni mutazione, di tragedie ambientali, di inondazioni atemporali, delle sciagure del mondo, provocate dalla scellerata, irresponsabile ed egocentrica gestione irrazionale dei fenomeni del pianeta. L’inesorabile ciclo del tempo, che nel risveglio delle rose rinviene il miracolo della vita e nello svanire del brivido vitale cela il rapido fluire verso nuove forme di vita, induce Zaniboni, in questo volume antologico intitolato “DISSOLVENZE DI UNA VITA (Con prefazione di CARMELO ALIBERTI) ad imprimere all’apparente rastrellamento della fenomenologia botanica un nuovo respiro d’amore e nel magma del buio in agguato” riscoprire l’urgenza aghiforme del poeta, teso alla conquista di una verità assoluta, che nel poeta non si configura nella certezza degli assiomi, ma fluisce nell’attutito sfrigolare di un indefinibile senso di colpa, in un torrente di malinconia infinita che intride il cuore del poeta,  dopo l’assedio del ferale covid, che ha reso vuota la propria abitazione, dove il vuoto invade il mondo del poeta, alla cieca e tormentata ricerca della consolazione di Dio. Un elemento simbolico centrale è rappresentato dal vento, che, nello sviluppo tematico della poetica di Zaniboni, non è solo espressione di un dato atmosferico, ma rappresenta allegoricamente ipotizzazioni di percorsi più intimi, più profondi,più interiori e ansie conturbanti di spiritualità. Ma il vento è anche strumento di recupero memoriale non fine a se stesso, ma come occasione di bilancio esistenziale di un passato da rivisitare con il dovuto distacco dallo scorrere degli eventi trascorsi, al setacciamento razionale di ciò che si è vissuto nel periodo della spensieratezza, ora rivisitato alla ricerca del momento in cui  è sfuggito l’”attimo fuggente” nella reminiscenza letteraria o ritrovare il vento che trascina nel mondo del mito, in quei versi in cui risultano immortali le linee tematiche della poetica zaniboniana, ma anche che attualizza  il sentimento del viaggio nell’immaginario letterario, che è materializzato attraverso il treno nell’approdo alla speranza, sentimento rinato nella discesa dal treno e avviarsi all’uscita dalla stazione, andando incontro al sole, simbolo mitologico e cristologico. L’incertezza della visione metafisica,sempre inseguita con la certezza  di un concreto abbraccio con Dio, trova sempre segni di positivo traguardo,con lo spontaneo conforto delle ipotesi pascaliane o spinte verso la speranza con l’evocazione del prodigioso bambino: “ Io,come Pascal,/ opto per la speranza/ e non ritengo vano/fidare nel fanciullo,/ disceso sulla terra/ a porgerci la mano”. Nella presente  raccolta antologica, i testi poetici sono attraversati, più o meno palesemente, ora per convocazione istintuale di frammenti oggettuali o per il riverbero di gesti casuali, ora mediante il recupero di emblematiche impronte memoriali, ora mediante l’incisivo pulsare del dubbio, dall’emergere della resa nell’esile percussione dell’assillo metafisico nell’alveo della terrestrità appena avvertita nel sofferto nomadismo dell’ anima. Ogni pagina, ogni nucleo tematico viene sfiorato dalla leggerezza del dettato poetico in cui si avverte la fragilità dell’io, dolente sulla soglia del mistero dell’esistenza. Il tentativo di riordinare la storia interna ed esterna dell’uomo si risolve in una sorta di codificazione spontanea, dove una filigrana di religiosità sommersa affiora nel determinismo naturalistico individuato nell’elemento dell’“acqua” in Zaniboni, proteso alla ricerca di un ordinato percorso metafisico. Ora,  attraverso l’inventario di fatti,di fenomeni apparentemente banali, nella ritualità iterativa della vita familiare, nel paradosso dell’interrogativo ludico, nei ritmi della vita scanditi da damine e vestiario ben delineati, in realtà il poeta sgomitola sofficemente il rosario delle catastrofiche seduzioni e degli inganni, incapsulati nelle cifre simboliche della parola che procede nella riscoperta del vero senso della vita, di fronte a cui resistono, forse come maschere inutili i semplici versi di un poeta che continua a scandire un’incomprensibile, quanto ostinata e laica preghiera. L’epicentro del problematicismo tematico di Zaniboni oscilla nella ricognizione del reale significato della vita e della morte, ma nel suo interrogarsi sul valore dell’esistenza, tra grido, protesta e affanno, il poeta scopre la dimensione dell’inutilità di ogni ansia conoscitiva di fronte all’universo del mistero, che disvela la nudità e l’inermità dell’uomo contemporaneo, privato delle energie necessarie e delle risposte adeguate a colmare il vuoto ultrafanico, nel quale sembra inesorabile l’affondare dell’essere, ma anche l’ostinata speranza o l’illusione di avanzare verso la meta,sotto la custodia silenziosa del Padre Celeste. La nitidezza delle strutture versificatorie e la bellezza delle figurazioni stilistico-formali, la ricchezza della rubrica lessicale, la ben articolata scansione metrica dei versi, una virtuosa  combinazione  in cui risulta appropriata la selezione tematica ed ideale, imprimono un carattere di assoluta originalità alla poesia di Lucio Zaniboni, alta  voce del parnaso del terzo millennio, poeta solido che sigla in una  corposa e preziosa produzione lirica un livello di primo piano, anzi,oserei dire, d’avanguardia, cioè una tipologia poetica che si colloca su posizioni nuove. Originale riesce il componimento che può definirsi una meta poesia,poiché Zaniboni  si sofferma sul passaggio alla scrittura,come se la poesia fosse sospesa nell’aspettativa di una nuova musa ispiratrice (Ghidina). La penetrante sensibilità del poeta riesce a sublimare con i versi la crudele realtà esterna  e l’appuntamento fatidico con la morte,senza trascurare la tensione infrangibile dell’anima in “Deum”.

CARMELO ALIBERTI

CARMELO ALIBERTI

LA POESIA DI LUCIO ZANIBONI, L’ESALTANTE BELLEZZA DEL CREATO E DELLA VITA

“Quest’atomo opaco del male” utilizzato dal poeta in una delle liriche d’apertura, ci mette sull’avviso di una delle tematiche fondamentali approfondite poeticamente da Zaniboni: il rapporto dell’uomo con la natura. Non a caso infatti cita l’ultimo verso della famosa poesia “X agosto” di Giovanni Pascoli, il poeta che alla natura si è ispirato tante volte. Ma proprio il “X agosto” è l’indimenticabile ricordo del padre di Giovanni morto prima di poter riabbracciare i figli.
Zaniboni incrocia spesso la memoria di chi non c’è più con la desolata constatazione del tempo che fugge. La natura diventa rifugio, consolazione ma anche ricchezza da difendere e preservare.
“Dei malanni del mondo/ risente la natura./ I monti, come i titani,/ hanno perso le forze/ la terra frana./ Nessuno raccoglie le foglie,/ il terreno non assorbe,/ l’acqua tracimando a valle/ tutto travolge”. È solo un esempio di versi coinvolgenti che descrivono tragedie ambientali, inondazioni e “malanni del mondo” cui purtroppo la scellerata gestione del pianeta ci sta abituando.
 

Chi si accosta alla poesia di Lucio Zaniboni si trova di fronte spalancate visioni paesaggistiche di esaltante bellezza in cui è il fiume, “l’Adda lenta”, che appartiene alla biografia del poeta, a portare il messaggio di composta serenità e ricerca di tranquillità.
Ma è anche la distesa marina che brilla al sole, o luccica sotto le stelle e la luna; sono i campi sterminati di papaveri e girasole, sono il tremolio delle lucciole e il volo dei gabbiani.
 

Le poesie di Zaniboni rappresentano un viaggio a cui il poeta ci invita tra i valori più veri e intramontabili che l’umanità ha avuto in dono, in primis proprio il creato offerto dal suo Creatore non per essere violentato ma rispettato e goduto.
Contestualmente alla meraviglia davanti alle bellezze della natura, va un profondo spirito religioso inteso come l’espressione dell’intimo umano che si avvicina al mistero ultimo del perché della vita qui sulla terra.
Spirito religioso che si concretizza anche nella figura storica reale e divina del Signore, non un dio astratto ma il Dio cattolico che è morto sulla croce, il Cristo: “Piange il cielo/ del venerdì santo/ e io, Signore,/ appeso alla tua croce/in lungo tormento,/ attendo./ Unendo la mia alla tua voce,/urlo:/ perché mi hai abbandonato?”. Ed ancora: “Anche Cristo /si trovò a parlare al vento/ “Chi ha orecchie per udire/ oda!”.
 

Quest’ultimo verso mi dà l’opportunità di presentare un’altra delle figure simbolo che invena della sua presenza tutto il volume: il vento.
Come giustamente sottolinea Zaniboni proponendo il titolo del volume, il vento della/nella sua poesia non è soltanto l’espressione di un dato atmosferico, ma offre la possibilità appunto allegorica di accennare a percorsi più intimi, rimandi ancora una volta interiori e spirituali. Il vento è anche riminiscenza letteraria cosa non certo inusuale per un poeta colto come Zaniboni, come dimostra per esempio “Ora anche il vento tace/. È sera: è tornata la pace” di echi foscoliani e quasimodiani.
Oppure sempre il vento ci conduce nel mondo del mito anch’esso presente come entroterra culturale del poeta. Ecco dunque “Ha due volti come Giano/ il vento./ In uno, sorridendo/ leggero increspa il mare,/ smuove le vele, recando respiri morbidi/ di sale(…) Anche l’uomo ha due volti:/ il bene e il male, /sempre contrapposti”.

NERIA DE GIOVANNI