ALLA LUNA.

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!

GIACOMO LEOPARDI, Canti XIV

La poesia fa coppia con “L’infinito”, stesso anno 1819, stessa lunghezza 15 e 16 endecasillabi sciolti. Fanno parte dei “piccoli idilli”.
Il titolo precedente era “La rimembranza”, poi mutato. L. infatti si rivolge direttamente alla luna (il vocativo dell’inizio, e la ripresa al v.10), quasi le parlasse: è un breve paesaggio notturno, che ispira l’emozione e il ricordo.
Un passo dello “Zibaldone” ne spiega il significato: è l’illusione degli anniversari, per cui, pur essendo il giorno di un anniversario uguale agli altri, noi gli attribuiamo, tramite il ricordo, un effetto di dolcezza, prodotto dal ricordo, anche se allora, come oggi, eravamo/siamo angosciati.
“È pure una bella illusione quella degli anniversari, per cui quantunque quel giorno non abbia niente più che fare col passato che qualunque altro, … ci par veramente che quelle tali cose che son morte per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e siano presenti come in ombra, cosa che ci consola infinitamente… illudendoci sulla presenza di quelle cose che vorremmo presenti e, o di cui pur ci piace di ricordarci… così negli anniversari. E io ricordo di avere con indicibile affetto aspettato e notato e scorso come sacro il giorno della settimana e poi del mese e poi dell’anno rispondente a quello dov’io provai per la prima volta un tocco di una carissima passione”. “Zibaldone”, 60, 21/5/1819.
Come ne “L’infinito”, il canto parte dalla descrizione dello spazio, il paesaggio lunare, e si trasferisce nel tempo, quello della memoria e quello del presente. Il piacere del ricordo è un paradosso, perché si realizza indifferentemente su contenuti lieti o tristi. E’ il piacere dell’immaginazione, espresso appunto anche, in modo diverso, nell’”Infinito”. I vv. 13 e 14 furono aggiunti dal poeta nel 1835, edizione dello Starita.
Parafrasi. ‘leggiadra e benigna’: bella e benevola; ‘or volge l’anno’: è passato un anno; ‘su questo colle: il monte Tabor, come ne “L’infinito”; ‘pendevi’: sovrastavi; ‘dal pianto’: compl. di causa; ‘il tuo volto’ soggetto della frase; ‘luci’: occhi; ‘il noverar’: il ricordare; ‘come grato occorre’: quanto è gradito; ‘è breve’: antitesi, speranza lunga, ricordo breve, perché sei ancora giovane.
L’incipit è allocutivo, Leopardi invoca la luna, chiamandola (Flora). La realtà dolorosa si colora d’una quasi ridente tristezza, confortata dalla speranza (G. De Robertis).

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