Una sera in macchina suo padre, tutto serio ma amichevole,  gli chiese: “allora cosa hai intenzione di fare? Se smetti cosa vai a fare con la maturità scientifica? Devi ponderare bene. C’è bisogno di selezionatori del personale. Nel 1986 hanno istituito l’indirizzo triennale di psicologia del lavoro. In futuro potrebbero esserci buoni sbocchi professionali.”

“Io sarei più orientato per fare filosofia a Pisa. È un corso di laurea quadriennale.”

“Ma poi cosa fai una volta uscito di lì? Non si campa con la filosofia.”

“Potrei fare l’insegnante di filosofia nelle scuole superiori. Ci sono posti nei licei e nelle magistrali.”

“Ci vuole vocazione e pazienza per insegnare, cose che a te mancano. Sei troppo impulsivo. Hai letto il libro “Corso alla laurea in psicologia” che ho comprato?”

“Certo. Il problema è che ci sono tre esami propedeutici: se non passi biologia non puoi dare fondamenti anatomo-fisiologici, se non dai dai fondamenti non puoi dare psicologia fisiologica. Inoltre c’è il blocco del biennio. Se non dai entro due anni i dieci esami obbligatori non puoi accedere al triennio. Ho sentito una ragazza che studia psicologia e mi ha detto che a Padova bocciano il 50% degli studenti a biologia, il 50% a fondamenti,  il 60% a psicologia fisiologica. Insomma schiantano discretamente in questi tre esami in cui c’è l’obbligo di frequenza. Senza considerare che il 50% di coloro che si ritirano dopo il primo anno è perché non hanno dato biologia e psicologia generale.”

“Ne parli come se fosse ingegneria. In realtà non è filosofia o lettere dove non bocciano così tanto,  non ci sono limitazioni, non c’è obbligo di frequenza. Ma non è nemmeno come fisica o ingegneria. Ci sarà qualche professore severo a fare da spauracchio. Ma non devi abbatterti. L’importante è impegnarsi. Chi la dura la vince. Psicologia è una facoltà di media difficoltà.”

“Penso che avrei più passione e più attitudine per la filosofia. Ma posso coltivarla come passione.”

“Potresti andare a Padova. Se andrai lì sarai più libero. Avrai più libertà di azione e di pensiero. Certo si spenderà di più, ma a questo penserò io. Certo a volte ti sentirai solo e ti prenderà il nodo alla gola. Non avrai nessuno talvolta con cui confidarti. Ma avrai l’opportunità di conoscere un altro mondo, un’altra mentalità,  un’altra realtà.  Lì nessuno ti conoscerà. Potrai ricominciare tutto da capo. A Pisa troveresti tanti studenti, che ti ricorderebbero chi pensano chi tu sia o chi tu non sia. A Pisa qualcuno ti conoscerebbe perché sei il figlio di. A Padova sarai uno come tanti altri e ci sarà più probabilità che ti prendano per quello che sei. Il Veneto è un altro mondo.”

Così qualche giorno dopo il ragazzo era lì  a iscriversi a quella facoltà.  Aveva fatto bene o male? Se lo sarebbe chiesto spesso negli anni successivi. In realtà se avesse studiato filosofia avrebbe potuto cadere dalle spallette dei lungarni e morire, dopo aver festeggiato per il superamento di un esame. Magari  avrebbe però potuto trovare una discreta occupazione, dopo la laurea. Chi può dirlo? Ogni attimo è un bivio. Tutte ipotesi campate in aria! L’unica realtà era quella fattuale. Nessun Iperuranio poteva sostituirla, compensarla. Per quanto riguarda la difficoltà delle facoltà avrebbe capito in seguito che prendere tutti 30 e lode a filosofia o a lettere e finire il corso in quattro anni per poi accedere al dottorato di ricerca era più difficile che essere uno studente di psicologia senza arte né parte. Il ragazzo sarebbe diventato uomo e non sarebbe diventato un noto psicologo né un letterato, ma un mediocre appassionato di poesia e letteratura.  Non avrebbe raggiunto l’eccellenza in alcuna disciplina, pur essendo un lettore attento di varie discipline umanistiche. Ma tutto ciò non gli sarebbe servito a niente. La laurea quinquennale in psicologia non gli avrebbe offerto sbocchi professionali, anche perché le aziende si rivolgevano a ingegneri e laureati in economia e commercio per selezionare il personale, immancabilmente utilizzando  test non standardizzati e così facendo esercitando abusivamente la professione di psicologo.   Ma così andavano le cose. Più tardi il nostro avrebbe pensato che lui aveva vissuto il boom di iscrizioni e quindi delle lauree in psicologia, suo malgrado. Talvolta il nostro, ormai uomo, si metteva a pensare a tutti quei sogni, quelle aspettative,  quelle speranze, quelle illusioni ben distribuite in ogni generazione, ben dispensate tra giovani ma anche tra genitori. Quindi pensava anche alle sconfitte, agli esiti negativi, alla dura quotidianità. Talvolta si pianificava il futuro, ma la realtà scombinava tutto. E poi il ragazzo per farsi uomo si sarebbe imbattuto in diverse crisi interiori, che non lo avrebbero affatto aiutato professionalmente, anzi gli avrebbero portato via tempo ed energie. Ma talvolta se si riesce a superare una crisi interiore se ne esce migliori, sempre interiormente, anche se questo i datori di lavoro non lo contemplano per una eventuale assunzione. Ritornando a quei giorni,  alle lezioni di biologia e psicologia generale aveva conosciuto Silvia di Bolzano. I corsi si tenevano in un cinema. Erano frequentati da 400 studenti circa. La professoressa di biologia disse che era l’ora di finirla con le lauree facili date quasi per corrispondenza,  che la vecchia facoltà di magistero era troppo facile e c’era il 30 politico, che la vecchia facoltà di magistero aveva fallito, creando troppi disoccupati. Da studenti del secondo anno erano arrivate notizie poco incoraggianti: talvolta buttava i libretti fuori dalla finestra e a volte bocciava se uno non rispondeva alla prima domanda. Molti erano terrorizzati. Silvia era una moretta simpatica, che faceva amicizia con tutti. Era già fidanzata. Ma non andava d’accordo col suo ragazzo, che era disinteressato a lei. Insomma lei cercava attenzioni altrove e si guardava attorno. Il nostro aveva capito tutto ciò. Però doveva studiare. Non poteva permettersi disattenzioni. Frequentava sempre, prendeva appunti, poi studiava sia i libri che le sue annotazioni della mattina. Silvia invece era svogliata. Non toccava libro. Confidava molto nelle sue capacità.  Il ragazzo cercava di imparare un minimo di metodo di studio. Non aveva una memoria fotografica. Non aveva una mente eidetica, così la definivano un tempo. Era un individuo medio-buono (per usare un eufemismo) e non si faceva illusioni. Quanti invece pensavano di essere dei geni e in realtà erano altrettanto mediocri! Inoltre al liceo era stato uno studente svogliato e si portava appresso alcune lacune. Però la psicologia era una materia nuova, che esulava dagli insegnamenti delle scuole superiori. Certo aveva già intuito che la facoltà di psicologia era tutta sperimentale e c’era poco spazio per la filosofia. Ma in fondo la psicologia era l’ultima delle facoltà scientifiche e alcuni professori ritenevano che non doveva avere niente da spartire con le facoltà umanistiche. Quindi anche scolasticamente e non solo socialmente poteva ricominciare tutto da capo. Molti si fidavano del voto di maturità e della considerazione positiva degli insegnanti delle superiori. Ma l’università era una cosa nuova. Dovevano dimostrare di nuovo di valere un minimo. Non potevano adagiarsi sugli allori. C’era una nuova selezione, una nuova scrematura a cui sarebbero stati sottoposti. Di solito chi andava bene alle superiori andava bene anche all’università, a patto che non sbagliasse totalmente facoltà e che si impegnasse.  Ma c’erano anche i falsi negativi e i falsi positivi di fronte a questo nuovo scoglio. Certo c’era un problema: la bella figlia del loro commercialista, nonché amico di famiglia dei suoi genitori, studiava anche lei psicologia a Padova. Lei era bravissima e i paragoni sarebbero stati spontanei. Veniva dal liceo classico con quasi il massimo della votazione. Poi avrebbe potuto raccontare ai suoi genitori le gesta del nostro. Come se non bastasse l’avrebbe potuto inchiodare seriamente a un esame di realtà e avrebbe potuto smascherare le sue balle, se in futuro avessero avuto amicizie in comune. Ma la ragazza se ne andò a studiare chimica, dove diede brillantemente gli esami del biennio per poi cambiare facoltà e quindi iscriversi a psicologia a Firenze, dove si laureò per  diventare psicoterapeuta.  Ma per quell’occasione il nostro tirò un sospiro di sollievo: poteva inventarsi altre vite, dire tutte le bugie perché nessuno lo avrebbe disturbato. Però in fondo a volte pensava che magari quella figlia del commercialista era una bravissima ragazza che non gli avrebbe creato alcun problema e che altri erano i guai. In definitiva per quei pochi giorni che l’aveva vista a Padova lui cercava di evitarla, mentre lei timida se ne stava sulle sue e aveva altre amicizie.  Il ragazzo a ogni modo a volte faceva colazione con Silvia. Gli piacevano i tramezzini piccoli asparagi e uova oppure prosciutto e formaggio. I bar padovani erano specializzati nei tramezzini, anche se la parola tramezzino era stata inventata dall’abruzzese D’Annunzio. Alle volte andava con Silvia per distrarsi un poco in un parco oppure lungo il Piovego a sedere su una panchina. Ma non ci fu mai niente tra loro. Solo tanti discorsi. Tanti bei discorsi. Silvia lo considerava inferiore perché alle superiori andava meglio di lui. Pensava che fosse un buon partito erroneamente,  ma non lo stimava in fin dei conti. A volte il nostro lo percepiva da una sua battuta, da una sua frase appena accennata, talvolta da uno sguardo di disapprovazione o addirittura di commiserazione.  Inoltre lei proveniva dal Nord civile e progredito, mentre lui da una cittadina di provincia del Centro. Forse pensava che non sarebbe andato bene ai suoi, che non c’erano speranze, che non era alla sua altezza, che non si sarebbe mai trovato bene a Bolzano, che ormai era troppo tardi per imparare bene il tedesco, che sarebbe stata una battaglia decidere se lei doveva stabilirsi in Toscana o lui a Bolzano. A gennaio il ragazzo passò gli esami di  biologia e psicologia generale, mentre Silvia invece di prepararsi agli esami si mise a fare sesso con il suo amico Alberto, di tre anni più grande, che aveva dato già molti esami. Silvia smise di studiare  e trovò un posto fisso a Bolzano. 

Silvia gli disse: “tu hai perso l’occasione. Alberto si è fatto avanti e mi ha conquistato.  Mi ha proposto anche di fare un trio con una sua amica e mi sono trovata molto bene. Con te ho solo perso tempo. Con te è stato solo tempo sprecato. Le parole non bastano. Alberto ha dei fatti molto eloquenti. Lui è un uomo, non te.”

Il ragazzo pronunciò qualche frase di circostanza imbarazzato e indifeso. Un’altra volta aveva perso. Ma in cuor suo pensava che in fondo lei lo aveva solo ferito nell’orgoglio e non nei sentimenti perché se si guardava bene dentro si accorgeva che di lei non interessava niente e che di lei aveva sempre dubitato. Quindi bofonchiò qualcosa e si salutarono, mentre quel giorno finiva. 

Il ragazzo la rivide tre anni dopo alla stazione di Prato. Non sapeva cosa ci faceva lì Silvia da sola. La guardò attentamente e constatò che effettivamente era lei. Non preferirono parola. Lei aspettava il treno per Bolzano. Lui invece quello per Firenze. Il nostro era stato a mangiare in una pizzeria. Aveva girato un poco per quella città,  mai  conosciuta bene. Ma si erano già dati l’addio,  quello vero,  in quel fine pomeriggio primaverile a Padova, dove lei le aveva raccontato tutte le novità in modo crudo e gli aveva anche detto che avrebbe smesso. Diciamo che quella sera a Prato si videro una volta di troppo. Poi nonostante avessero entrambi i numeri di telefono continuarono ognuno a vivere la loro vita e continuarono a ignorarsi per sempre. La vita a volte andava così.