Agli albori della nostra storia

LA NASCITA DI ROMA TRA MITO, LEGGENDA E CRITICA STORICA
Saggio di Eduardo Terrana
Oggi si chiama Italia, la terra languidamente adagiata tra le acque dei mari del mediterraneo, ma era Ausonia il suo nome al tempo che da Troia in fiamme, ormai persa per sempre, in mano ai greci vincitori sui troiani, il mite Enea fugge con il Padre Anchise, la moglie Creusa, il figlio Ascanio e un gruppo di troiani. Nelle orecchie le parole di Creusa che, smarritasi nella fuga, gli appare davanti come ombra, non come donna, e gli dice che gli dei hanno voluto così, che Creusa non è più la sua compagna ed Enea peregrinerà per l’ampio mare e approderà alla terra Esperia, dov’è il lidio Tevere.
L’Eroe di Troia, così, affida al mare il destino suo e del suo popolo. Tocca le coste della Tracia, dove fonda una città, poi l’isola di Delo, dove l’oracolo di Apollo, interrogato, risponde: “Cercate l’antica Madre”. Forse è Creta, pensa Enea, la nuova Patria? In sogno, però, i Penati gli svelano che l’antica Madre è la terra di Ausonia, dove il sole tramonta. Una tempesta spinge le navi sulle isole Strofadi dove i troiani vengono molestati dalle Arpie, una delle quali, Cileno, rivela ad Enea che approderà in Italia e vi fonderà una città. Enea giunge poi in Epiro dove, a Butrinto, l’indovino Eleno, figlio del re di Troia Priamo, gli rivela che, andando lungo le rive d’un fiume solitario d’Italia, troverà una bianca scrofa con trenta porcellini bianchi, là si fermerà e formerà un nuovo impero. Lasciato l’Epiro Enea fa tappa a Cartagine, dove vive una intensa storia d’amore con la regina Didone. Ma è volere del sommo Giove che egli prosegua il viaggio. Giunge, così, con il conforto degli dei, alla foce del Tevere, dopo sette anni di viaggio da quando ha lasciato Troia in fiamme.
Come racconta Virgilio, Enea manda ambasciatori al re Latino, signore di Laurento, per avere il permesso di fondare una città. Latino, lo accoglie bene e, memore del vaticinio di suo padre Fauno che gli aveva predetto un genero straniero, gli offre in sposa sua figlia Lavinia contro il volere della moglie Amata che invece l’aveva promessa al re dei Rutuli, Turno, che, di conseguenza, dichiara guerra ad Enea al quale, in sogno appare il Dio Tiberino che gli annunzia che allo svegliarsi vedrà la scrofa bianca con i trenta porcellini del vaticinio e lo esorta a chiedere aiuto ad Ecandro, re di Pallanteo. Al risveglio Enea vede la scrofa e i suoi trenta porcellini che sacrifica a Giunone. Si reca quindi da Ecandro che gli dà in aiuto 400 cavalieri guidati dal figlio Pallante e che lo consiglia di rivolgersi anche a Mezenzio, re degli Etruschi di Cere, in lotta coi Latini. Enea segue il consiglio, va da Mezenzio che lo accoglie con letizia e gli concede il suo aiuto. La guerra con i Rutuli si fa furiosa e miete molte vittime: muore il giovane Pallante, muore la vergine guerriera Camilla, muore Mezenzio. I primi esiti dello scontro, sono favorevoli ad Enea, che vede i Rutuli e i loro alleati, i Latini, in fuga incalzati dai troiani. Si decide però di affidare l’esito definitivo della guerra ad uno scontro diretto tra Enea e Turno. Ma i destini sono segnati. Turno ha la peggio e perisce sotto i colpi di Enea.
L’arrivo di Enea in Italia è raccontato diversamente da Catone e Dionisio. Secondo il primo, Enea, appena giunto in Italia, fonda una fortezza a cui dà il nome di Troia. Il re Latino gli dà in moglie la figlia e 700 iugeri di terra, suscitando l’ira di Turno che gli muove guerra. Latino muore combattendo, Turno, sconfitto, si allea con Mezenzio, re etrusco di Cere, ma viene ucciso alla ripresa degli scontri. Enea all’improvviso scompare misteriosamente. La guerra tra Rutuli e Troiani si conclude con un confronto tra Mezenzio ed Ascanio, che da vincitore si stabilisce a Lavinio, fondata da Enea, e dopo 30 anni pone la sua sede ad Alba Longa.
Dionisio racconta invece che Enea approda, col favore di Venere, ad una spiaggia deserta del Lazio, dove sarebbe morto di sete insieme al suo seguito se non fosse intervenuto un propizio prodigio che fece zampillare dell’acqua fresca e limpida. Enea, in segno di ringraziamento, decide di sacrificare una scrofa che, però, fugge verso un colle dove gli Dei, apparsi in sogno ad Enea, gli ordinano di stabilire la sua nuova dimora.
La scrofa nella notte partorisce trenta porcellini che Enea, al risveglio, sacrifica ai Penati, poi fonda una nuova città cui dà nome Lavinio.
Si volge quindi ad affrontare la nuova minaccia di Latino che, alleatosi con i Rutuli, aveva dichiarato guerra ai Troiani. Latino, però, ha un repentino ripensamento, temendo di essere sconfitto porge ad Enea la sua amicizia e gli offre in sposa sua figlia dotandola di quaranta stadi di terra. Il fatto desta l’ira di Turno che affronta in campo i Troiani ma viene sconfitto ed ucciso. Muore, intanto, anche Latino ed Enea si trova di fatto a regnare sui Troiani e sui popoli del Lazio. I Rutuli, però, meditano la rivincita e tre anni dopo, con l’aiuto di Mesenzio, muovono di nuovo guerra ad Enea. La battaglia, presso Numicio, è molto aspra. Enea, però, scompare improvvisamente e tutti credono che fosse asceso al cielo. Viene venerato, pertanto, come un Dio con il nome di Giove Indigete.
Secondo alcuni scrittori Enea ebbe un solo figlio, Ascanio da cui nasce Silvio, secondo altri ne ebbe due: Ascanio, avuto da Creusa, e Silvio, avuto da Lavinia.
Ascanio regna 30 anni in Lavinia, poi fonda Alba Longa e vi si trasferìsce.
Tito Livio attribuisce ad Enea 13 figli: Enea Silvio, Latino Silvio, Alba, Ati, Capi, Capeto, Tiberino, Agrippa, Romolo Silvio, Aventino, Proca, Numitore ed Amulio.
A Numitore, primogenito, spettava il regno, ma Amulio si impadronisce del potere. Uccide Egesto, il figlio del fratello, e costringe la sorella Rea Silvia a farsi sacerdotessa della dea Vesta.
Un giorno Rea Silvia, recatosi in un bosco, viene violata dal dio Marte che la rende madre di due gemelli. Saputo l’accaduto Amulio ordina che i due gemelli vengano gettati nel Tevere. La cesta in cui i due piccoli vengono messi dai servi di Amulio però si arena in una secca del fiume. Una lupa, richiamata dal vagito dei piccoli, accorre e li allatta. Un pastore di nome Faustolo, poi li trova, li porta a casa sua e dà loro il nome di Romolo e Remo.
I due gemelli crescono sani e forti ed esperti nelle armi e presto la loro supremazia prevale su tutti. Un giorno ai due gemelli si presenta l’occasione di assalire i pastori di Amulio, i quali, a loro volta, rapiscono Remo mentre tornava dalle Feste Lupercali e lo consegnano ad Amulio. Faustolo, il pastore che li aveva salvati da piccoli, avvisa dell’accaduto Romolo e gli rivela che Rea Silvia è la loro madre. Romolo, allora, desideroso di vendetta, si reca con i suoi seguaci ad Alba Longa, assale la reggia di Amulio e lo uccide, quindi rimette sul trono l’avo Numitore. I due fratelli decidono poi di fondare una nuova città e si affidano al volere degli Dei per sapere chi dei due deve darle il nome. All’alba Romolo ascende sul Palatino e Remo sull’Aventino. Remo vede sei avvoltoi, Romolo ne vede dodici. I due vengono a contesa perché ognuno rivendica a sé il favore degli Auguri, ne nasce, in conseguenza, una rissa nella quale Romolo uccide Remo.
Altri sostengono che Remo muore ucciso dal fratello per avere oltrepassato le mura della città che stava costruendo e che chiamerà Roma.
Secondo Antigono, la nascita di Roma è da attribuire ad un certo Romo, figlio di Giove che la costruì sul monte Palatino.
Il perché si ricorse alla leggenda di Enea quale progenitore di Romolo viene commentata dalla critica storica come necessaria dovendosi pur dare una origine illustre alla Città che aveva conquistato l’Italia, sconfitto Cartagine e fondato un impero. Si scelse, allora, un figlio di Giove come fondatore di Roma e nacque così la leggenda di Romo che poi si trasformò in Romolo.
Le gesta leggendarie di Enea compiute a Troia erano conosciute in Grecia e nelle colonie greche della Magna Grecia, nel meridione d’Italia. Ne parlano anche i libri sibillini di Cuma. I Latini, pertanto, dovettero essere lieti di far derivare la loro città di Roma da un guerriero così illustre, figlio di una divinità.
I miti, le leggende e i commenti della critica storica, secondo cui l’accostamento della leggenda troiana a quella romulea era una soluzione di continuità che doveva necessariamente essere colmata, non forniscono, comunque, una risposta esauriente sulla nascita della Città Eterna, la cui origine resta avvolta nel mistero dei miti e delle storie che si tramandano.

Eduardo Terrana
Giornalista-saggista-conferenziere internazionale su diritti umani e pace
Proprietà letteraria riservata
(Note storiche da: Storia d’Italia di Paolo Giudici)

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