Archivissima 2022, di Maria Teresa Gavazza

 

Certamente gli archivi sono testimoni del cambiamento. Con le loro radici storiche legano il passato al presente, sviluppano coscienza critica.

Come insegnante ho potuto adottare l’enciclopedia Io e gli altri: già il titolo indicava quale didattica innovativa fosse nel suo progetto.

L’enciclopedia è stata adottata nelle scuole come esempio di collettivo politico e culturale, che negli anni 60 volle contrapporsi alla tradizione scolastica immobilistica e refrattaria ad ogni riforma.

La mia proposta è partire dal femminismo, da ciò che è rimasto nella memoria di donne allora e oggi, in un intreccio fecondo. Il femminile è nato come il debole resistente, pronto ad adattarsi senza timore. Non è rigido come il maschile, si evolve e progredisce in unione con la natura.

Le donne, non tutte naturalmente, hanno una visione più umana del potere, anche se sono in armi (penso alle combattenti Kurde) vi è speranza nel femminile.

L’archivio, di cui già abbiamo parlato nella scorsa edizione di Archivissima, è segno di un movimento locale, molto attivo ed elemento di conflitto sul territorio: la Casa delle donne espressione di NonUnadiMeno.

Voci di donne di ogni generazione sono state catalogate ad Alessandria e a Torino, per segnare il cambiamento di epoche storiche e sociali, mai sottratte alla lotta femminista.

Ricordiamo l’emancipazionismo di fine ottocento, le società di mutuo soccorso nelle filande, le operaie del cappello ovvero le Borsaline.

Nulla come un archivio può essere testimone di cambiamento, pensiamo alle lavoratrici prima sfruttate e umiliate (il divieto della latrina, da un articolo dell’Idea nuova, 3 maggio 1902, conservato in archivio), poi nella lotta e nelle assemblee-come sorelle-in sciopero, pronte ad offrire coraggio e diritti ad un intero proletariato urbano e contadino.

Leggiamo nelle fonti la trasformazione di modelli arcaici attraverso diverse forme di ribellione, un sussulto di protesta contro i metodi di aguzzini e i regimi polizieschi del padronato. Addirittura le operaie vengono schiaffeggiate, lo si legge sui giornali socialisti e i volantini dell’epoca.

Ecco l’adesione agli scioperi sempre più numerosi, organizzati dalla Camera del lavoro: cambiamenti profondi, espressione di una nuova cultura e di un nuovo costume.

Le ragazze inurbate entrano presto in conflitto con i valori tipici del contado, i modelli della famiglia originaria, la condizione tradizionale della donna. Si ravvivano archetipi e miti sulla figura dell’operaia emancipata. La memoria collettiva ha espresso-nelle fonti orali-una serie di stereotipi che hanno trovato manifestazione sia nei repertori di canzoni popolari dialettali come nell’immaginario collettivo: contaminazioni tra la rigida morale cattolica e la trasgressione al modello familiare tradizionale.

“Una donna che diventa operaia non è più una donna”, è una delle accuse al sistema di fabbrica che vede nell’impiego delle donne la causa principale dell’immoralità della crisi dei costumi.

“Le fabbriche hanno fatto perdere la fede alle ragazze, quindi abbiamo il ceto femminile peggiore del maschile”, sono alcune delle opinioni nell’ambito parrocchiale locale.

Donne quindi non più impaurite, anzi nella rottura delle tradizioni, preparate a nuovi comportamenti, quali il ballo, le feste, le uscite in città, le trasgressioni contro il vecchio patriarcato. Naturalmente pagate a caro prezzo.

Ma le decine di registrazioni di fonti orali archiviate, rendono il mutamento parte della città, fino alla resistenza partigiana e ad eventi sessantottini.

Tutto confluito negli archivi locali, ora patrimonio delle donne, da madri a sorelle a figlie.

Una scuola innovativa anche ad Alessandria e a Torino, epicentro della contestazione sessantottina. Seminari universitari affollati di giovani di ogni età, per amore del sapere. Vi sono tracce nell’archivio donato alla Casa delle donne di Alessandria, dove il cartaceo evidenzia volantini, verbali di convocazione in collaborazione con l’Università di Torino, facoltà di Magistero. (Tutto poi segnalato nel libro della scrivente, Il sogno di una rivoluzione).

Il 68 produce uno degli slogan più significativi: “tutto è politica!”, attuato nella pratica assembleare delle donne ad Alessandria.

Altri cambiamenti appaiono nei movimenti di liberazione della donna, i quali assumono una valenza pericolosa per le tradizioni più retrive.

È attraverso le tematiche e le pratiche del corpo e della sessualità che il movimento femminista conosce una circolazione e un’influenza sociali; il fenomeno del cosiddetto “femminismo diffuso” trova probabilmente qui un decisivo impulso (da documenti di archivio).

Le pratiche si ripetono nel movimento di NonUnadiMeno e nella Casa delle donne di Alessandria. Un filo rosso ci lega in un cambiamento fecondo, il mio archivio donato ne è l’esempio più fulgido.

Mai come oggi è attuale il pensiero femminista contro la guerra. È un cambiamento mai cessato, unica scommessa in un futuro di liberazione.

Cambiamento quindi di coscienza, di comportamento e di azione.

Le donne ne sono il vero motore, si evolvono come una marea, mai statiche ed immobili.