GABRIELLA PACI  Sfogliando il tempo 

Prefazione

Viviamo in un mondo segnato da inquietudini e contraddizioni profonde, in un “tempo fragile” in cui non si distinguono più nettamente i contorni tra ciò che è e ciò che sarà, fra l’incertezza del presente e l’ansia per un futuro di cui non si intravedono con chiarezza le attese e le possibili realizzazioni.

È questo il tema che percorre Sfogliando il tempo, la quarta raccolta di poesie di Gabriella Paci, divisa in tre sezioni, intitolate rispettivamente: “Passate stagioni”, “Tempo fragile” e “Ricorrenze” a indicare un percorso che dal passato giunge al presente e chiede, nel difficile momento che stiamo attraversando, di non guardare al futuro se non aprendo il cuore alla speranza.

Già Nicola Caldarone, nella prefazione all’ultima raccolta edita di Gabriella Paci, che ha per titolo Le parole dell’inquietudine, aveva osservato che la sua poesia, contrassegnata da “intime e, a volte, tormentate visioni e da profonde indagini psicologiche, riesce sempre ad accendere la luce della speranza” e, quasi ad esorcizzare il malessere dell’anima e la solitudine che caratterizza l’uomo contemporaneo, utilizza la forza della ragione per indagare la vita nelle sue pieghe più profonde, aiutandoci così a riscoprirne il significato più autentico.

È questo un percorso che, dall’Io e dall’introspezione che caratterizza la poesia della Paci, di tipo emotivo e sentimentale, approda, ad una attenta lettura, a considerazioni di carattere più generale che mettono l’Io a confronto non solo con se stesso ma anche con gli altri. Ecco allora che in Ricorrenze appare evidente come questa generalizzazione tenda a trasferire il particolare nell’universale, facendo sì che ognuno di noi possa riconoscersi nella dimensione umana che caratterizza l’uomo contemporaneo.

Domina in tutta la raccolta il tema dell’inesorabile trascorrere del Tempo, visto nella sua curva ascendente e infine declinante, dai giorni lieti della giovinezza rievocati soprattutto in Passate stagioni fino ad approdare alla Curva del tempo, una delle più belle poesie dell’ultima sezione in cui si fondono gli echi segreti di una malinconica discesa verso il nulla: dalle strade e dai giardini della città vecchia che parlano del “tempo di prima” e di “amori acerbi” che rimandano al ricordo di una “dolcezza rimasta inviolata nel sogno”, fino al declinare della luce del giorno, metafora dell’inesorabile trascorrere del tempo “sulla salita di ieri e sul crinale del ritorno”.

La prima sezione si caratterizza come ‘poesia del ricordo’ centrata sul tema degli affetti perduti e su quelli che hanno dato un senso alla vita; e ancora, è poesia d’amore per le persone care e di gratitudine per quanto di bello la vita le ha offerto, adombrato solo da un velo di rimpianto e di malinconia. Domina qui la figura del padre visto nei suoi silenzi e nel suo essere semplice e contorto, come l’ulivo che dà frutti e pace, pur se cresce in declivi petrosi e solitari (A mio padre). E in questo “cerchio / di presenze lontane ma mai / fuori dal suono dell’anima” c’è la figura della madre impressa nel nome che scelse per lei fin dal primo battito d’amore (Il mio nome) o ricordata con le mani appoggiate sul grembo: “contorti rami”, nella loro fragilità, quando il destino si abbatté su di lei e, come “quercia colpita dal fulmine” la piegò impietosa (Ricordo). Perché, come dice Gabriella Paci, “Ci sono persone che non ci lasciano / mai davvero e rimangono nelle pieghe dei sentimenti e dei pensieri: la memoria le trattiene negli oggetti, nelle stanze vuote, nelle voci che a volte ci rincorrono e ci chiamano… (Ci sono persone). E anche se il cammino è a volte troppo arduo e tutto sembra franare attorno, ecco che torna la vita con le sue illusioni a “accendere / la lanterna della speranza sul davanzale delle attese / dove appassisce il / fiore di passate stagioni di sole” (Regalami un mazzo di parole). Al ricordo delle persone care si associa il tema dell’assenza, del distacco sempre velato da nostalgia di cui solo la memoria può colmare il vuoto: “Se ti penso il tempo m’appare / lenzuolo che copre le cose di casa / prima della partenza” si legge nella poesia intitolata Se ti penso…e quest’eco di giorni lontani torna sia nelle poesie più intime sia nel paesaggio che a volte si vela di malinconica tristezza (Incanto magico), altre invece diventa limpido ricordo di una felicità goduta nel tempo sereno dell’infanzia (Via Oberdan n 7).

Ma quasi a voler dimenticare questa rara felicità, Gabriella Paci apre la seconda sezione, Tempo fragile, con una poesia che condensa in immagini forti il tempo della pandemia che stiamo vivendo: “Resistiamo sull’orlo di giorni sbrecciati / a filo sul baratro della paura di / un presente di cocci rotti e di / un futuro che taglia le ali al volo”. E, nonostante la poetessa abbia cercato di rimuovere le immagini di dolore, di sofferenza e di morte che per mesi hanno accompagnato una dimensione esistenziale a noi del tutto prima sconosciuta, il cuore, vero motore del suo essere, le ricorda che anche la ragione appare debole e quasi impotente, incapace com’è a far intravedere un “faro d’approdo” in fondo al tunnel (Dove non abito). 

Ma la poesia che meglio rappresenta la fragilità del nostro inquieto presente è certamente E si fa spina in gola ogni parola dove al singhiozzo delle fontane che rimanda al pianto dell’uomo nella città deserta, priva di vita, corrisponde il tempo dell’attesa “senza passione e senza allegria” che porta a una mancanza di certezze e di prospettive, mentre la voce, anche quella della poesia “si fa spina in gola”. La parola “punge e non fiorisce” e tutto sembra essere indifferente alla solitudine dell’uomo. Questi infatti anche nella disperazione più cupa desidera sempre ciò che ha perso: “siamo lumache nel guscio della / appartenenza: / –  recita la poesia intitolata La persistenza del lontano – vogliamo il nostro / muro dove la scia ha lasciato traccia / e l’orto di casa, dove fiorivano le / gialle ginestre del quotidiano / tra la zizzania del clamore inquieto / dei giorni diventati ora desiderio”. 

Anche la natura sembra accompagnare il ritmo inquieto di giorni privi di certezze. Ne sono prova Le rose di maggio, la poesia che chiude questa breve sezione: anche le rose “sfatte sotto aghi di pioggia” emanano solo la parvenza di un profumo, mentre tutto, perfino i colombi che beccano rassegnati, sembra fondersi in un’ombra dove “si chiude il cerchio della luce / indifferente alla consolazione / umida delle rose di maggio”.

Ma, se il pessimismo del tempo in cui viviamo può indurre a pensare che non ci sia soluzione, nella poesia della Paci compare sempre un filo di speranza, come si legge in Resurrezione: è l’attesa di una nuova primavera, “in un’alba di rinascita”, in cui le mani possano finalmente incontrarsi tra loro.

Tornano nella terza sezione, Ricorrenze, temi cari alla poesia di Gabriella Paci, sebbene visti da una diversa prospettiva. È la poetessa stessa a dirci che in questa sezione “che si può definire un tempo-spazio” si collocano liriche che presentano tematiche affini alle precedenti, ma che non sono necessariamente collocabili né nel passato né nel presente. Si tratta infatti di poesie che assumono per la Paci un valore “atemporale”, dove il lettore può riconoscersi nell’incontro con la parola poetica e l’emozione che essa suscita. Sono poesie rivolte all’altro dall’Io che si fa ‘tu e noi’ e ingloba in questa consonanza la nostra umanità, il nostro essere uguali di fronte alla vita. “È questa vita un viaggiare / sui binari sghembi di cifre / impazzite e stazioni senza sosta” (Numeri) o come si legge in Ulisse senza Itaca: “siamo tanti Ulisse / alla continua ricerca di un approdo / anche se Itaca / oramai non esiste più”. Ma se questa vena di pessimismo nasce soprattutto dalla situazione che ci costringe a vivere in tempi bui, in cui non è possibile ipotizzare certezze e futuro, Gabriella Paci torna a “rincorrere le chimere del tempo” e a gioire per tutti quei momenti belli di cui la vita le ha fatto dono, ricordando così anche a noi che c’è un tempo per tutto: per crescere, per amare e per avviarsi poi dolcemente sulla curva discendente del Tempo.

E come tutte le donne di marzo, Gabriella chiede venia per “l’incostanza e l’imperfezione” che la caratterizzano, ma soprattutto chiede di poter restare se stessa e di essere amata per quello che è: “Ama di me quel trascolorare della / notte che si fa comunque alba” (Non chiedermi).

Lo stile presenta una semplicità comunicativa solo apparente, il lessico infatti è ricco di parole colte e talvolta desuete che impreziosiscono l’andamento prosastico del verso; la lingua è a volte quasi colloquiale, altre volutamente più implicita e densa di suggestioni musicali.

Fernanda Caprilli