L’incontro di Anna e Vrònskij alla stazione

In questo celebre brano Tolstòj racconta dell’incontro tra Anna e Vrònskij alla stazione ferroviaria di Pietroburgo. L’incontro è favorito da due circostanze: Vrònskij, che viene a ricongiungersi con la madre, arriva al binario con un conoscente, che è anche il fratello di Anna: Stepàn. Per un’ulteriore coincidenza, la madre di Vrònskij e Anna hanno fatto il viaggio insieme, nello stesso scompartimento.

Vrònskij andò nella vettura dietro al capotreno e all’entrata dello scompartimento si fermò, per lasciare il passo a una signora che usciva.

Col tatto abituale dell’uomo di mondo, da una sola occhiata sull’aspetto esteriore di questa signora Vrònskij giudicò in modo certo ch’ella apparteneva all’alta società.

Egli si scusò, e stava per andare nella vettura, ma provò la necessità di guardarla ancora una volta, non perché ella fosse molto bella, non per quell’eleganza e quella grazia modesta che si vedevano in tutta la sua persona, ma perché nell’espressione del volto leggiadro, quand’ella gli era passata vicino, c’era qualcosa di particolarmente carezzevole e tenero. Quand’egli si volse a guardarla, ella pure voltò il capo. Gli scintillanti occhi grigi, che sembravano neri per le ciglia folte, si fermarono amichevolmente, con attenzione sul volto di lui, come se ella lo riconoscesse, e immediatamente si portarono sulla folla che passava, come cercando qualcuno. In questo breve sguardo Vrònskij fece a tempo a notare l’animazione trattenuta che balenava sul volto di lei e svolazzava fra gli occhi scintillanti e il sorriso appena percettibile, che incurvava le sue labbra vermiglie. Come se un’abbondanza di qualcosa colmasse talmente il suo essere, da esprimersi all’infuori della sua volontà ora nello scintillio dello sguardo, ora nel sorriso. Ella aveva spento deliberatamente quella luce nei suoi occhi, ma essa splendeva suo malgrado nel sorriso appena percettibile.

Vrònskij entrò nella vettura. Sua madre, una vecchietta rinsecchita con gli occhi neri e i ricciolini, socchiudeva gli occhi, contemplava il figlio, e sorrideva lievemente con le labbra sottili.

Levatasi dal piccolo divano e consegnata la borsetta alla cameriera, tese la piccola mano secca al figlio e, sollevata dalla mano la testa di lui, lo baciò in viso.

– Hai ricevuto il telegramma? Stai bene? Sia lodato Iddio.

– Siete arrivata bene? – disse il figlio, sedendosi accanto a lei e prestando involontariamente ascolto alla voce femminile dietro la porta. Egli sapeva che era la voce di quella signora che aveva incontrata nell’entrare.

– Io però non sono d’accordo con voi, – diceva la voce della signora.

– Opinione di Pietroburgo, signora.

– Non di Pietroburgo, ma semplicemente femminile, – ella rispondeva.

– E allora, permettetemi di baciare la vostra piccola mano.

– Arrivederci, Ivàn Petròvič. E guardate se mio fratello è qui, e mandatelo da me, – disse la signora proprio sulla porta, ed entrò di nuovo nello scompartimento.

– Ebbene, avete trovato vostro fratello? – disse la Vronskaija, rivolgendosi alla signora.

Vrònskij ora si ricordò che questa era la Karénina.

– Vostro fratello è qui – disse egli, alzandosi. – Perdonatemi, non vi ho riconosciuta, e del resto la nostra conoscenza è stata così breve – disse Vrònskij, salutando – che probabilmente non vi ricordate di me.

– Oh, no! – ella disse, – vi avrei riconosciuto, perché con la vostra mamma, mi pare, per tutto il viaggio s’è parlato soltanto di voi, – ella disse, permettendo finalmente all’animazione, che chiedeva sfogo, di esprimersi nel sorriso. – Però mio fratello non c’è.

– E chiamalo, Aljosa, – disse la vecchia contessa.

Vrònskij uscì sulla banchina e gridò:

– Oblònskij! qui!

Ma la Karénina non aspettò il fratello e, vedutolo, con lieve passo deciso uscì dalla vettura. E non appena il fratello le si avvicinò, ella, con un movimento che stupì Vrònskij per la sua risolutezza e per la sua grazia, circondò il collo del fratello col braccio sinistro, lo attirò a sé in fretta e lo baciò con forza. Vrònskij la guardava senza abbassare gli occhi e, senza sapere lui stesso di che, sorrideva. Ma ricordandosi che la madre lo aspettava, entrò di nuovo nella vettura.

– Non è vero ch’è molto carina? – disse la contessa della Karénina. – L’ha fatta sedere qui con me il marito, e io sono stata molto contenta. S’è fatto tutto il viaggio con lei parlando. Ebbene, e tu, dicono… vous filez le parfait amour. Tant mieux, mon cher, tant mieux.

– Io non so a cosa alludiate, maman – rispose il figlio freddamente. – E così, maman, andiamo.

La Karénina entrò di nuovo nella vettura per salutare la contessa.

– Ecco qua, contessa, voi avete incontrato vostro figlio, e io mio fratello, – ella disse allegramente. – E tutte le mie storie si sono esaurite; più avanti non ci sarebbe più nulla da raccontare.

– Eh, no, – disse la contessa, prendendola per una mano, – io con voi girerei intorno al mondo e non mi annoierei. Voi siete una di quelle donne gentili con cui è piacevole e parlare e tacere.

E a vostro figlio non ci pensate, per favore: non si può mica non separarsi mai.

La Karénina stava immobile, tenendosi straordinariamente dritta, e i suoi occhi sorridevano.

– Anna Arkàdjevna, – disse la contessa, spiegando al figlio, – ha un figlioletto, di otto anni mi pare, e non s’è mai separata da lui, e non fa che tormentarsi perché l’ha lasciato.

– Sì, con la contessa s’è parlato tutto il tempo, io del mio figliolo, lei del suo figliolo, – disse la Karénina, e di nuovo un sorriso illuminò il suo volto, sorriso carezzevole, che riguardava lui.