Sicuramente alcuni letterati giustamente hanno cercato di  raccogliere o  meglio hanno aspirato a raccogliere l’eredità letteraria e critica di Fortini,  però mi chiedo io se ha più senso oggi la cosiddetta funzione Fortini, ovvero l’intento di politicizzare la letteratura italiana, in vista di una  rivoluzione. Me lo chiedo ora che la rivoluzione a mio avviso non è più possibile, dato che le coscienze sono addomesticate dai mass media e che il capitalismo di sorveglianza ci ha tutti schedati, vivisezionati,  controllati totalmente. Bisognerebbe forse cercare di distruggere mass media e capitalismo di sorveglianza? Bisognerebbe quantomeno boicottarli? Non sarebbe forse un tentativo puerile, utopico, come del resto quello del luddismo? Forse la cosa migliore è aspettare tempi più propizi. Forse anche le multinazionali e le lobby faranno dei passi falsi. La speranza è che il mondo migliori. Di ingiustizie e disuguaglianze ce ne sono a bizzeffe. Come è possibile fare la rivoluzione quando questo sistema ha svuotato e distrutto la concezione sociale della comunità? Non esiste più il senso della comunità. Siamo in una società in cui è sempre più difficile dire “noi”. Le classi sono scomparse e con esse anche la coscienza di classe e la lotta di classe. La rivoluzione pacifica non è più possibile e molto probabilmente neanche quella non pacifica: sarebbe solo un inutile e utopico bagno di sangue, in cui sarebbero i rivoluzionari prima di tutto a rimetterci. Il problema non è solo accettare una quota fisiologica di violenza per fare la rivoluzione, ma ormai la questione di fondo è rassegnarsi alla sconfitta, accettare le istanze della rivoluzione mancata, accettando razionalmente che quei tentativi non sono più ripetibili. La lotta è impari, realisticamente parlando. Allora non sarebbe meglio unirci tutti, indipendentemente dell’orientamento politico, in nome del buon caro umanesimo, un umanesimo più moderno, che comprenda anche le scienze umane, per una critica serrata e radicale alla società attuale? Che senso ha rimpiangere la rivoluzione? Non sarebbe un grande atto politico cercare di riunirsi in nome dell’umanesimo?  Il treno della rivoluzione è stato perso e probabilmente non passa più. Che fare ora? Stare sempre rivolti al passato? È utile la nostalgia di un’epoca che non tornerà probabilmente? Certo di grandi insegnamenti da trarre da quegli anni ce ne sono. Quell’epoca e la quella cultura non devono essere passati invano.  Non sarebbe però ritornare sempre a quei giorni ripetere il solito mantra, il solito  continuo “vorrei ma non posso”, nel vero senso della parola? Per fare una cosa molto umana, ovvero il comunismo ci vogliono dei metodi sanguinari e disumani. Chi tutela il sistema capitalistico tutela i propri interessi ed è mosso dal proprio egoismo. Cosa succederebbe poi se il sistema intero implodesse? Che ne sarebbe di noi? Inoltre al mondo d’oggi molti hanno qualcosa da perdere,  anche poco, anzi pochissimo,  ma se lo tengono stretto. Siamo sicuri che il comunismo sarebbe un sistema migliore? Siamo sicuri che il tracollo del capitalismo non ci porterebbe in condizioni umane ancora più disastrose? Comunque anche se non si può accettare le dinamiche e le trasformazioni socioeconomiche odierne vanno capite e criticate. In questo il pensiero di Fortini può aiutarci molto, può venirci in soccorso. Non si può nascondere la testa sotto la sabbia. Ci vogliono comunque anche  nuovi strumenti intellettuali per capire nuove dinamiche. Bisogna stare al passo con i tempi. Fortini va sempre tenuto presente perché è un grande maestro e un lucidissimo intellettuale, anche se apparteneva a un’epoca lontana. Fortini,  per quanto sant’uomo e autore geniale, non poteva prevedere tutto, anche se ha previsto molto. Il primo interrogativo è come fanno molti a definirsi fortiniani e perciò militanti quando hanno accettato di buon grado tutti i meccanismi dell’industria culturale e i compromessi delle carriere universitarie?  Più che raccogliere l’eredità diciamo che ne hanno subito gli influssi, anzi degli echi lontani. Infine un ultimo dubbio: raccogliere interamente l’eredità fortiniana significa anche abbracciare la sua religiosità (i Salmi, i libri sapienziali del Vecchio Testamento, i profeti,  etc etc), per quanto Fortini non fosse sionista (vedere “I cani del Sinai”),  e non fraintendere,  non equivocare la sua chiamata alla clandestinità,  che non significava prendere le armi e che al mondo d’oggi molto probabilmente, questa clandestinità,  non è più possibile perché qualsiasi lotta, qualsiasi forma di opposizione richiede una certa visibilità, anche a rischio di farsi fagocitare dai mass media: sono finiti i tempi dei fogli ciclostilati e delle riunioni piene di fumo.  È vero che Fortini era anche un ideologo e oggi l’unica ideologia rimasta è quella del mercato, come cantava Gaber. È vero che possono  sembrare, anche se solo di primo acchito, un poco datate la politicità di Fortini e la politicizzazione del reale. Però non bisogna fermarsi alla superficie; bisogna sempre valutare la grande capacità critica e dialettica fortiniana, la sua costante ricerca di oggettività, le sue grandi intuizioni intellettuali. Non bisogna dimenticarsi neanche della grande capacità di accettare il dialogo e di mettersi sempre in discussione di Fortini: qualità o quantomeno cortesia che mancano a molti intellettuali oggi. Fortini va sempre tenuto in considerazione. Il suo saggio “Verifica dei poteri”, più di ogni altro suo lavoro,  va tenuto sul comodino, sempre a portata di mano, per dubbi, chiarimenti, delucidazioni,  nuovi interrogativi.  Ma bisogna anche chiedersi non qual è l’eredità di Fortini, piuttosto ciò che è vivo e ciò che è morto in noi del suo pensiero, parafrasando Croce. Insomma Fortini è importante e non deve essere dimenticato e lo scrivo anche se non sono  fortiniano. L’eredità di Fortini sarebbe a ogni modo ingente, cospicua, ma molto probabilmente mancano gli eredi legittimi.