Harry Martinson (Jämshög, 6 maggio 1904 – Stoccolma, 11 febbraio 1978) è stato uno scrittore e poeta svedese.
Martinson nacque a Jämshög, nella contea svedese di Blekinge, nella parte sud-est della Svezia. Quando era ancora molto giovane perse entrambi i genitori e per questo divenne un figlio adottivo. A sedici anni, Martinson scappò via e si arruolò su una nave dove passò gli anni successivi viaggiando per tutto il mondo, visitando paesi come Brasile ed India. Alcuni anni dopo problemi polmonari lo costrinsero a sbarcare in Svezia gdove viaggiava senza un lavoro fisso, vivendo a volte come vagabondo per le strade di campagna. All’età di 21 anni, fu arrestato per vagabondaggio nel parco di Lundagård , Lund . L’approdo alla poesia è quasi un’intimidazione, la via del sofferente, o meglio, del corsaro: l’esordio, nel 1929, gli sorride. Alcuni romanzi sancirono il riscatto di Martinson che nel 1949, pur fautore, come si diceva, di una letteratura ‘proletaria’, viene eletto tra i membri dell’Accademia di Svezia. Nel 1956 pubblica l’opera più estrema e complessa, Aniara, un’“odissea nello spazio”, poema cosmico che oscilla tra le Argonautiche e il Kalevala, l’antico poema finnico, in cui, in 103 canti in forma chiusa, difforme, si narra la deriva di una nave spaziale – “Aniara”, appunto – espulsa dal sistema solare: in seguito alla distruzione della Terra, avrebbe dovuto colonizzare Marte. Il poema scaraventò Martinson nella galassia dei grandi lirici del tempo: nel mondo inglese fu tradotto da un poeta eccezionale, Hugh MacDiarmid, nel 1963; Antimoderno, ostile alle spire del progresso inarginabile, Martinson difese le ragioni della poesia “regionale”, particolare, di parte, e delle lingue marginali, contro “l’internazionalizzazione del linguaggio”. La sua poesia, caratterizzata da innovazione linguistica e un uso frequente di metafore , combinava un occhio acuto per, e amore per la natura, con un umanesimo profondamente sentito, la poesia, che ha l’autorevolezza di un viso e non di una massa messa in fila, che non ha ambizioni da multinazionale, garantisce la sopravvivenza di uno spazio privato.
“Come poeta e scrittore non ho un programma, in quanto è già abbastanza difficile essere uomo in un tempo come il nostro, un tempo in cui d’altronde non mi sento più a mio agio. Ma v’è qualcosa che amo: il mare, l’oceano, in ogni sua espressione e le stelle – infatti l’astronomia è uno dei miei grandi interessi. Ma ciò non significa che io rifugga dagli uomini: li accetto così come sono, alienati e troppo diversi fra di loro, perché possano ancora illudermi”.
Harry Martinson arrivò in Italia in seguito al Nobel per la letteratura, ottenuto nel 1974 insieme al romanziere Eyvind Johnson.Ne scaturì una polemica globale: l’Accademia di Svezia, infatti, aveva scelto di premiare due suoi rappresentanti. In un mondo in cui la reputazione è tutto e la vergogna ovunque, l’esito fu brutale: Eyvind Johnson, alienato dal consesso letterario, morì nell’agosto del 1976; Martinson precipitò in una lenta follia: si uccise l’11 febbraio del 1978, nell’ospedale di Stoccolma in cui era internato, squarciandosi il petto con un paio di forbici. “Ma la poesia sopravvivrà… è e sarà sempre intraducibile…”, aveva detto, quasi che l’intraducibilità fosse una forma di salvezza, l’amare.
Martinson è ampiamente considerato il più grande autore svedese dai tempi di August Strindberg . Il 100° anniversario della nascita di Martinson è stato celebrato in Svezia nel 2004. Il Premio Cikada viene assegnato in memoria di Harry Martinson da quell’anno.

“Ma io sono convinto che questa situazione cambierà; turismo, film, televisione e altre possibilità di reciproca comprensione diminuiranno l’efficacia di tutte le lingue. Le immagini e l’immediato contatto con la realtà favorito dai viaggi che spingono l’uomo sempre più lontano, ridurranno le lingue a un mezzo secondario di comunicazione. E’ probabile che fra cento anni non si leggano più neanche i giornali.
Ma la poesia sopravvivrà sia perché spesso tratta dell’amore (ditemi due innamorati che nel buio non si sussurrino versi d’amore), sia perché i sentimenti umani nelle loro più sottili espressioni non potranno mai tradursi e internazionalizzarsi completamente. La poesia è e sarà sempre intraducibile, resterà “regionale” anche se di tanto in tanto tenderà verso altre fonti d’ispirazione. Valori e sfumature nati nelle lande scozzesi non potranno mai essere percepiti con esattezza in Toscana o in Sicilia. Una saga norvegese raccontata in un oliveto greco non conserva che la trama della corrispondente leggenda popolare ellenica. E’ giusto che sia così e così sempre sarà. Ogni parte del mondo ha il suo fascino e la sua attrattiva in quanto straniera ed esotica alla gente d’altri paesi.”

Sentiti d’accordo in tempo con tutto quello che perisce
e lascia che il cuore raccolga tutta la sua nostalgia
che è molto grande e non si contiene in nessuna tomba.
Fai di questa nostalgia la canzone del cuore.

Sentiti d’accordo in tempo con il ruscello che s’irrigidisce
e raggricchiato gela sotto il ponte.
Una volta era il nastro piú bello nei capelli dei campi dell’estate.
Una volta correva selvatico in un argenteo serpeggiare attraverso una foresta.
Era una primavera.
Una ragazza tornava a casa con un cesto di spugnole.
Era bella.

Era primavera.

Sentiti d’accordo in tempo
con tutto quello che è degno di essere rimpianto
con tutto quello che si è messo in cammino attraverso l’estate per morire.
Sentiti d’accordo in tempo d’autunno con la foglia gialla
che incerta lascia il suo ramoscello
un giorno quando l’estate abdica nel vento
e l’albero depone la sua corona
sul guanciale di muschio che dovrà sopravvivere.

da “Cicala”, in “Harry Martinson, Le erbe nella Thule”, Einaudi, Torino, 1975

*Forse tutto cambierà, l’evoluzione è nell’ordine delle cose ma la poesia non morirà mai perché nasce dalle emozioni che sono uguali e immutabili per tutti e in qualsiasi tempo. Le stagioni passano, ciò che era si trasforma, qualcosa muore e rinasce, non possiamo fermare il tempo ma il tesoro di sensazioni che ogni momento ci ha regalato rimane nel cuore traducendosi in quella indicibile struggente nostalgia.