Il cameriere si muove tra i tavoli con compiacenza ed eleganza. L’omaccione, seduto in un angolo della sala, continua l’inarrestabile consumazione di vivande, quando giunge l’investigatore privato John Parker.

«Ciao Steve.»

«Siediti, Parker» dice l’uomo, dopo aver rapidamente masticato e mandato giù il boccone.

«Mi dispiace non accettare il tuo invito, ma ho da fare» risponde il detective, rimasto in piedi.

«Che significa “ho da fare”, mica ti sto chiedendo di soggiornare in questo meraviglioso locale?»

«Cos’ha di tanto meraviglioso?»

«Le sue pietanze, naturalmente!»

«Già!»

«Un po’ di vino? Ok, non insisto» dopo un’ulteriore prova del suo animo gentile, resa vana dall’ostinazione del detective, l’uomo tira fuori dalla tasca interna della giacca una busta per corrispondenza e la poggia sul tavolo.

«Dentro c’è quello che hai chiesto. Se sarai fortunato, la troverai a battere i marciapiedi, se la conclusione non sarà così lieta, ti aspetterà l’arduo compito di informare la famiglia che la loro adorata figlia non fa più parte di questo mondo.»

Parker tira fuori dalla tasca della sua giacca un mazzetto di banconote da cento dollari; ne conta quindici e le poggia sul tavolo.

«Questi sono per me, Parker; altri dieci bigliettoni per i miei informatori. Non è stato un lavoro facile come mi avevi assicurato» dice l’omaccione, senza perdere la compostezza.

«Le tue richieste si fanno sempre più pretenziose.»

«Colpa dell’inflazione.»

«Già!» il detective, con visibile disappunto, mette sul tavolo altri dieci biglietti da cento dollari.

L’omaccione, contento annuisce.

«Spero che le tue informazioni ne siano degne.»

«Ti ho mai deluso?» replica l’uomo, mentre prende i soldi e dà la busta a Parker.

«Non hai mai pensato di seguire una dieta?» dice il detective.

«Un’infinità di volte» risponde l’uomo.

«La tua mole mi fa pensare a un amico.»

«Immagino che si tratti di un piedipiatti.»

«Esatto!»

«È una loro caratteristica.»

«Be’, ci vediamo, ti farò sapere» il detective gira le spalle per andarsene, quando la robusta voce dell’uomo seduto al tavolo lo inchioda per alcuni attimi sul pavimento.

«Parker, sei un ragazzo generoso; mi tocca il cuore… grazie per la cena.»

«Siete tutti uguali» commenta il detective.

«È una nostra caratteristica… stammi bene.»

***

La serata è ventosa. Il detective si avvia con la sua automobile; fermo a un incrocio con il semaforo rosso, l’uomo tira dalla tasca la busta con dentro le informazioni tanto attese per una sbirciatina, ma l’accendersi della luce verde lo costringe a poggiarla sul cruscotto e a ripartire.

Giunto nelle vicinanze dell’ufficio, Parker parcheggia la sua macchina sotto il marciapiedi, apre lo sportello e scende con in mano la busta, quando, ad un tratto, viene colpito alla nuca col calcio di una pistola che lo fa stramazzare per terra. Stordito, il detective viene fatto bersaglio di violenti e ripetuti calci da un uomo alto e robusto, con grandi baffi e capelli ricci, il quale, smette e si allontana assieme a un suo complice solo dopo averlo ridotto a uno strazio.  Il vento che soffia a raffiche intermittenti, porta via con sé la preziosa busta.

***

Parker, schiude lentamente gli occhi, la sua vista affonda nel biancore della stanza d’ospedale, poi punta lo sguardo al fianco del letto, dove stanno sedute su due sedie la mamma e la figlia Kate.  In piedi, quasi in disparte, la bella segretaria Jennie e il suo collaboratore Ted gli accennano un simpatico e rassicurante sorriso.

«Che bella riunione di famiglia…» dice il detective con una piccola smorfia di dolore.

«Come stai papà?» chiede Kate.

«A parte un dolorino alle costole, non posso lamentarmi, piccola.»

«Ti hanno ridotto male, figliolo; è stata Jennie a trasportati in ospedale» dice la mamma del detective visibilmente turbata.

«Ero uscita dall’ufficio per far ritorno a casa, quando ho visto la tua macchina parcheggiata…» afferma la segretaria.

«Hai fatto da sola?»

«Sì.»

«Ti sarai affaticata.»

«Nulla di serio.»

«Sei una donna eccezionale…»

«Lascia stare, pensa a rimetterti.»

«Ho passato momenti peggiori, non ci penso minimamente a marcire per lungo tempo in una stanza d’ospedale; quindi, preparatevi già per il mio ritorno» dice il detective John Parker, colorando di brioso ottimismo il freddo clima ospedaliero.

«Se fossi in te ci andrei cauto» interviene Ted col sorriso sulle labbra. «Hai un bel numero di ossa ammaccate e non credo proprio che riuscirai a rimetterti in piedi in breve tempo.»

«Scommessa?» replica il detective, con un’espressione che non lascia nessun dubbio di sorta sulle sue reali intenzioni. «Avevo una busta in mano che mi è caduta nel momento del pestaggio…»

«Non preoccuparti, l’ho raccolta io» risponde Jennie. «Il vento voleva portarsela via, ma il provvidenziale muro, raffigurato da una grossa ruota di una Jeep parcheggiata nelle vicinanze, ha frenato la sua corsa.»

«Il buon Dio pensa a tutto» afferma compiaciuto Parker.

***

La compagnia di due uomini e quattro belle donne, seduti sul grande divano e sulle poltrone del salotto a parlare fra loro con tono confidenziale e allegro, viene improvvisamente distratta dal suono del campanello d’ingresso.

«Salve! Sono Elsa, ho un appuntamento con il signor Faiman» dice la giovane.

«Certo! In questo momento è occupato, ma entri pure, non dovrà aspettare molto» risponde l’uomo dall’invidiabile carnagione bruna che ha aperto la porta. Elsa va a sedersi su una poltrona.

«Io sono Susan» dice una donna della comitiva.

«Salve! Io sono Elsa.»

«Già, ho sentito. Vuoi fare l’attrice?»

«Be’, non lo so…»

«Per quale altro motivo allora ti trovi qui?»

«Sono stata invitata.»

«È naturale che sia così.»

«Le stai facendo il terzo grado» interviene con facile ironia l’uomo che poco prima aveva aperto l’uscio. «Potrebbe non avere tutta questa voglia di risponderti.»

«Non le sto dicendo nulla che non vorreste chiederle ognuno di voi. E poi, se le do fastidio, è abbastanza matura per dirmelo.»

«Non c’è nessun problema, ve lo garantisco» asserisce Elsa. «Il signor Faiman mi ha detto che il mio volto si presterebbe a un personaggio del suo prossimo film.»

«Ne ero certa. Vedi che Faiman è quello che tira i soldi e non il regista. Sì, è vero, il tuo viso è interessante e sembra che il resto del tuo corpo non sia da meno. Non crearti troppe illusioni; l’inizio potrebbe non essere di tuo gradimento, ma se vuoi proseguire dritto, non devi voltarti indietro, anche a rischio di scendere a compromessi: è la legge del mondo dello spettacolo.»

Alla consigliatrice seduta accanto, Elsa risponde con un sorrisetto di circostanza.

«Grazie!»

«Figurati.»

«Puntuale e bellissima! Tengo molto alla puntualità, la ritengo la migliore forma di rispetto verso gli altri» dice il signor Faiman, apparso nel salotto con la carismatica personalità che lo contraddistingue. «Spero che con i vostri discorsi non l’abbiate persuasa ad abbandonare i suoi sogni» continua l’uomo rivolgendosi al gruppo di amici.

«Al contrario» risponde Susan. «Le stavo consigliando di metterci anima e corpo, a non mollare per nessun motivo al mondo.»

«Ottimo! Vieni, accomodiamoci nel mio ufficio.»

Elsa si alza dalla poltrona e segue l’uomo, accompagnata dal sorriso di conforto da parte di Susan.