Antonella Viola

Antonella Viola: Un sistema sanitario sotto pressione non riesce ad offrire i servizi essenziali ai suoi cittadini

Come ripeto ormai da anni, uno dei tanti pericoli legati al lasciar circolare liberamente il virus è lo stress a cui si sottopone il sistema sanitario. Un sistema sanitario sotto pressione non riesce ad offrire i servizi essenziali ai suoi cittadini, che si trovano quindi nell’impossibilità di accedere agli esami per la prevenzione o di ricevere in tempi ragionevoli una diagnosi o una terapia. La tempesta sanitaria causata dal Covid-19 ha intasato le liste di attesa per gli esami e le terapie ed ha certamente provocato un danno alla salute pubblica che va ben oltre le vittime dirette del virus. Un danno che ci porteremo dietro a lungo, se non recupereremo in fretta investendo risorse nella sanità.

In aggiunta a tutto ciò, un recentissimo studio del C.D.C. degli Stati Uniti – l’agenzia federale che controlla la salute pubblica – punta i riflettori su un’altra grave e allarmante conseguenza della pandemia: le infezioni resistenti ai farmaci. Secondo il rapporto dell’agenzia federale, durante la pandemia le infezioni resistenti ad antibiotici e antifungini (i farmaci che si usano per combattere le infezioni causate da batteri o funghi, rispettivamente) sono aumentate del 15% durante il primo anno della pandemia. L’affollamento dei reparti ospedalieri può, infatti, favorire la circolazione di virus, batteri e funghi tra soggetti che sono di solito fragili e che faticano a debellare l’infezione. E questo è estremamente pericoloso se accade nei pazienti ricoverati in terapia intensiva. In particolare, alcuni patogeni preoccupano molto le autorità sanitarie, a causa della loro diffusione e pericolosità. Tra questi il batterio Acinetobacter, resistente agli antibiotici e, purtroppo, secondo il rapporto, in forte aumento nelle terapie intensive (aumentato del 78%) e il fungo Candida auris (aumentato del 60%), che causa una malattia spesso mortale.  

Il problema delle infezioni resistenti ai farmaci non è affatto nuovo e da circa vent’anni gli scienziati tentano invano di attirare su questo fronte l’attenzione dei governi e delle case farmaceutiche. Le infezioni batteriche e fungine sono state combattute finora grazie a pochi farmaci che, nel tempo, abbiamo utilizzato troppo e male. Basterebbe pensare alle enormi quantità di antibiotici che abbiamo riversato nell’ambiente per gli allevamenti intensivi, per capire quanto scellerate siano state le scelte di governi e produttori. I batteri, come i virus, sviluppano mutazioni che vengono poi selezionate dall’ambiente: se l’ambiente è pieno di antibiotici, saranno favorite le mutazioni che rendono i batteri resistenti agli stessi. Non solo: molto spesso gli antibiotici, che non sono efficaci contro i virus, vengono somministrati a soggetti che non ne avrebbero affatto bisogno, come è accaduto anche nel caso dell’infezione da SARS-CoV-2.

Nel mondo, più di un milione di persone muore ogni anno per infezioni che non rispondono ai farmaci e gli scienziati ritengono che nel 2050 i decessi annuali supereranno i 10 milioni. Già da tempo, l’Italia ha la maglia nera in Europa per numero di casi e morti: un terzo dei decessi europei per infezioni resistenti ai farmaci avviene, infatti, nel nostro Paese. E il quadro attuale potrebbe essere anche peggiore, a causa dell’effetto della pandemia.  Se, da un lato, è quindi necessario ripetere che il virus non può correre e che bisogna utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione per evitare un’occupazione eccessiva degli ospedali – e quindi mascherine, vaccini e antivirali – dall’altro bisogna che si acquisisca consapevolezza di quella che è, insieme al cambiamento climatico, l’emergenza più grave che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni.

(Editoriale pubblicato su La Stampa)