Agnolo (Angelo) Ambrogini, detto Poliziano, dal nome latino del paese d’origine, Mons Politianus (Montepulciano, 14 luglio 1454 – Firenze, 29 settembre 1494), è stato un poeta, umanista e filologo italiano. Generalmente considerato il maggiore tra i poeti italiani del XV secolo, membro e fulcro del circolo di intellettuali radunatosi attorno al signore di Firenze, Lorenzo il Magnifico, fu autore di opere in latino, in greco e in volgare, e raggiunse un’ampia competenza filologica e un’ammirevole perfezione formale dello stile. Angelo Ambrogini nacque nel 1454 a Montepulciano, oggi situato in provincia di Siena; dal nome latino della sua città natale, Mons Politianus, avrebbe ricevuto l’appellativo umanistico di Poliziano, con il quale è conosciuto. Suo padre, Benedetto, giurista legato all’importante famiglia fiorentina dei Medici, morì, quando Poliziano aveva solo dieci anni, assassinato dai parenti di un uomo che era stato condannato a causa della sua azione. Poiché, dopo la morte del padre, la madre incontrò serie difficoltà nel garantire la sopravvivenza alla famiglia, Poliziano fu costretto a trasferirsi a Firenze, dove giunse entro il 1469,presso la casa di alcuni parenti. Egli riuscì egualmente a intraprendere gli studi universitari: nell’intento di dimostrare le proprie abilità, nel 1470, all’età di sedici anni, iniziò la traduzione dell’Iliade di Omero dal greco al latino: svolgendo tale opera rivelò già il rigore filologico e l’uso raffinatissimo della parola. Nel 1473, ultimata la traduzione dei primi due libri del poema, Poliziano li dedicò a Lorenzo de’ Medici, da poco divenuto signore di Firenze (1469) assieme al fratello Giuliano: il Magnifico, dunque, prese il giovane scrittore sotto la sua protezione, e, senza considerare affatto la sua modesta origine sociale, gli consentì di accedere all’ampia biblioteca medicea e di frequentare gli intellettuali che erano a lui legati. Nel 1475, divenne segretario di Lorenzo e precettore del suo primogenito Piero. Nel 1480, ricevette la prestigiosa nomina di professore di poetica e retorica allo Studium fiorentino e attese alla stesura di impegnativi commenti ai classici greci e latini. In questo periodo scrisse numerose altre poesie in latino e anche in greco, pur senza abbandonare la composizione di versi di vario genere in volgare. Nel 1484 fu ambasciatore a Roma in occasione dell’elezione di papa Innocenzo VIII e due anni dopo prese i voti e divenne canonico della cattedrale di Firenze, Santa Maria del Fiore. Poliziano morì improvvisamente a Firenze, in circostanze non chiare, nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1494, due anni dopo aver assistito alla morte di Lorenzo il Magnifico. Finissimo poeta e filologo, Poliziano fu il più brillante esponente della cultura umanistica fiorentina.

Angelo Poliziano è autore de “La ballata delle rose”, una delle sue opere più famose e amate con cui il poeta celebra l’amore e invita il lettore a godere delle piccole gioie quotidiane, una sorta di Carpe diem, ed è una bellissima testimonianza della letteratura italiana del XV secolo. La protagonista del componimento è una fanciulla, che nelle prime strofe racconta di esser stata in un giardino ricco di fiori e piante in primavera. Il giardino è una vera e propria rappresentazione del locus amoenus, tanto caro alla tradizione classica. Profumi, consistenze, colori si mescolano nella descrizione del giardino, per poi concludersi con la metafora delle rose, da cui infatti il componimento prende il nome. Tutto nella vita ha la caducità del tempo, anche le cose più belle sfioriscono, quindi meglio coglierle quando si ha la possibilità.

La ballata delle rose

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Eran d’intorno violette e gigli
fra l’erba verde, e vaghi fior novelli
azzurri gialli candidi e vermigli:
ond’io porsi la mano a còr di quelli
per adornar e’ mie’ biondi capelli
e cinger di grillanda el vago crino.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Ma poi ch’i’ ebbi pien di fiori un lembo,
vidi le rose, e non pur d’un colore;
io corsi allor per empir tutto el grembo,
perch’era sì soave il loro odore
che tutto mi senti’ destar el core
di dolce voglia e d’un piacer divino.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

I’ posi mente: quelle rose allora
mai non vi potre’ dir quant’ eran belle:
quale scoppiava della boccia ancora;
qual’ erano un po’ passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: -Va’, cò’ di quelle
che più vedi fiorite in sullo spino.-

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Quando la rosa ogni suo’ foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a mettere in ghirlande,
prima che sua bellezza sia fuggita:
sicchè, fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

I’ posi mente: quelle rose allora
mai non vi potre’ dir quant’ eran belle:
quale scoppiava della boccia ancora;
qual’ erano un po’ passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: -Va’, cò’ di quelle
che più vedi fiorite in sullo spino.-

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Quando la rosa ogni suo’ foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a mettere in ghirlande,
prima che sua bellezza sia fuggita:
sicchè, fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

*Ed eccoci alla corte di Lorenzo il Magnifico, il grande mecenate, protettore di poeti, pittori ed artisti.Quando la cultura e l’arte erano sinonimo di orgoglio di un casato e Firenze la culla del Rinascimento. E uno degli esponenti di spicco di questo periodo è certamente Poliziano che nel suo stile di aulico volgare descrive con elegante metafora la fugacità della bellezza ed esorta a goderne qui e ora prima che tutto svanisca.