Le maschere sociali, secondo la psicologia junghiana, sono i ruoli che interpretiamo, gli status nei quali ci identifichiamo, gli abiti di circostanza che indossiamo a seconda del contesto in cui ci troviamo, delle persone e delle situazioni che ci stanno intorno: lavoro, famiglia, amici. Nell’antichità, presso molte popolazioni, le maschere venivano indossate solo in determinate “occasioni rituali” che marcavano importanti fasi di trasformazione per la comunità di appartenenza (iniziazioni o riti di passaggio). Nelle società moderne le cose stanno diversamente a causa della comparsa del concetto di identità personale. L’essere umano ha sempre avuto l’esigenza psicologica di adottare delle maschere di fronte agli altri, come messo in luce dal sociologo Erving Goffman nel libro “La vita quotidiana come rappresentazione”. Per Goffman la libertà individuale è un’utopia e la vita quotidiana dell’essere umano è scandita come una performance teatrale dove ognuno di noi non può fare a meno di interpretare una parte, complementare a quella di tutti gli altri individui con cui interagiamo. Il compito di insegnare agli individui a non indossare le maschere sociali proposte dal mercato è affidato alla scuola che, per questo motivo, deve essere pubblica per essere indipendente dal mercato e insegnare il pensiero critico. In Occidente, ma la globalizzazione sta esportando il modello ovunque, l’individuo vive nella società del guadagno, dell’egoismo, dell’informazione, della manipolazione, della pubblicità, della moda e delle apparenze, che danneggiano la costruzione dell’identità di ognuno.

“Chissà se un giorno butteremo le maschere” è una poesia di Eugenio Montale contenuta nella raccolta “Quaderno di quattro anni” del 1977.
Eugenio Montale, in “Chissà se un giorno butteremo le maschere” vuole farci riflettere sull’autenticità delle persone che ci circondano. Spesso, infatti, ci capita di incontrare persone che all’apparenza sembrano perfette, ma spesso nascondono una triste verità. Si conoscono davvero le persone intorno? Quanto è raro incontrare chi ha volto e maschera che coincidono, ma è probabile che egli stesso non sappia il suo privilegio. E chi l’ha saputo, chi ha scoperto che il suo volto era pari alla sua maschera, pagò il suo dono con balbuzie.

“Chissà se un giorno butteremo le maschere”

Chissà se un giorno butteremo le maschere
che portiamo sul volto senza saperlo.
Per questo è tanto difficile identificare
gli uomini che incontriamo.
Forse fra i tanti, fra i milioni c’è
quello in cui viso e maschera coincidono
e lui solo potrebbe dirci la parola
che attendiamo da sempre. Ma è probabile
che egli stesso non sappia il suo privilegio.
Chi l’ha saputo, se uno ne fu mai,
pagò il suo dono con balbuzie o peggio.
Non valeva la pena di trovarlo. Il suo nome
fu sempre impronunciabile per cause
non solo di fonetica. La scienza
ha ben altro da fare o da non fare.

*Oggi più che mai questa poesia bellissima e profonda del Montale è attuale. Tutti indossiamo maschere e mascherine e siamo talmente abituati a mostrare un falso volto di circostanza che diventa un’abitudine. E se qualcuno si mostra più autentico e sincero viene considerato pazzo.