L’ esclusione dell’universo cibo all’interno dei testi eruditi aveva ovviamente come matrice la condizione materiale del cibo ed una filosofia che considerava nobile ciò che era pertinente a quanto apparteneva alla vita in su e meno nobile quello che si riferiva al resto, ovvero quello che era indirizzato alla vita in giù. Anche la considerazione della gola come vizio capitale ha il suo peso in questa sporadica presenza. I riferimenti gastronomici erano considerati impoetici. Il grande poeta simbolista italiano, Giovanni Pascoli, nel suo “romanzo georgico”, i Poemetti, fu tra i primi a sublimare il cibo in poesia. Pascoli rievoca la frase di San Francesco d’Assisi il quale ha affermato: “Chi lavora con le mani è un operaio, chi lavora con le mani e la testa è un artigiano, chi lavora con le mani, la testa ed il cuore è un artista”. Il poeta crepuscolare Guido Gozzano si spinse ancora oltre il terreno tracciato dal Pascoli dei Poemetti, introducendo nella sua poesia anche i profumi inebrianti delle vivande. Il poeta torinese considerava l’Oriente la cuna del mondo, ne è una testimonianza la sua opera pubblicata postuma Verso la cuna del mondo.
Una poesia deliziosa di Guido Gozzano, circondata da una leggera, ironica e dolce malinconia, dove subito immaginiamo il giovane poeta seduto ai tavolini del Caffè Baratti & Milano di piazza Castello, a Torino, mentre osserva signore e signorine alle prese con la pasticceria del Caffè. Gozzano amava le donne con fervente ammirazione le osservava e le descriveva. In questa Poesia ce le racconta mentre scelgono e mangiano pastarelle, quindi in un pulsante assioma di vita e cibo.
LE GOLOSE
Guido Gozzano
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie.
Signore e signorine –
le dita senza guanto –
scelgon la pasta. Quanto
ritornano bambine!
Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.
C’è quella che s’informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.
L’una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
un’altra – il dolce crebbe –
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un’altra, con bell’arte,
sugge la punta estrema:
invano! ché la crema
esce dall’altra parte!
L’una, senz’abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D’Annunzio.
Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! le signore come
ritornano bambine!
Perché non m’è concesso –
o legge inopportuna! –
il farmivi da presso,
baciarvi ad una ad una,
o belle bocche intatte
di giovani signore,
baciarvi nel sapore
di crema e cioccolatte?
Io sono innamorato di tutte le signore
che mangiano le paste nelle confetterie
*E come non innamorarsi di tali versi, deliziosi, come le immagini di queste giovani bocche voluttuose di dolci. Meravigliosa, cibo e poesia, connubio perfetto perché c’è arte in tutto quello che viene fatto con amore e che eleva lo spirito.