Konstantinos Petrou Kavafis, noto in Italia anche come Costantino Kavafis (Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1863 – Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1933), è stato un poeta e giornalista greco. Kavafis era uno scettico che fu accusato di attaccare i tradizionali valori della cristianità, del patriottismo e dell’eterosessualità, anche se non sempre si trovò a suo agio nel ruolo di anticonformista.

NAPOLI

Pubblicò 154 poesie, spesso ispirate all’antichità ellenistica, romana e bizantina, ma molte altre sono rimaste incomplete o allo stato di bozza. Scrisse le sue poesie più importanti dopo i quarant’anni.ittoscorse ad Alessandria la maggior parte della sua vita, visitando la Grecia solo tre volte (nel 1901, 1903 e 1932).Di cospicua famiglia costantinopolitana poi decaduta, trascorse parte della giovinezza in Inghilterra; Il greco, la sua lingua poetica, lo dovette reimparare durante l’adolescenza. Impiegato per tutta la vita in un ufficio del ministero dei lavori pubblici d’Egitto coltivò quasi segretamente il suo amore per la poesia.
Un uomo riservato e decoroso, a tratti schivo, che conduce una vita ordinaria e quasi monotona: il lavoro presso l’ufficio irrigazioni del ministero dei Lavori pubblici d’Egitto, passeggiate – ma prevalentemente casa-ufficio-ufficio-casa –, qualche incontro con gli amici, i primi trentasei anni della sua vita vissuti con la madre e i dieci successivi con i fratelli. In realtà il lavoro, che pure svolge con meticolosa precisione, non gli piace affatto: è solo un mezzo che gli può garantire di vivere bene, lo odia e lo subisce come un furto al suo tempo, che dedicherebbe più volentieri all’arte. Nella vita di quest’uomo di  dis-ordinario c’è l’omosessualità, che percorre l’intera produzione poetica nella forma di amore vano, immorale, che non porta a nulla, e per questo meraviglioso, forte, importante. La società borghese cristiana in cui vive e di cui condivide idee e valori non gli impedisce di vivere la sua omosessualità – scoperta intorno al 1882 – con serenità, “come una cosa naturale, e quindi insormontabile, per la quale non è possibile sentirsi veramente in colpa”. C’è un solo ostacolo,  un ostacolo che blocca, che non permette di dire ciò che si pensa e si prova. Quest’ostacolo non è certo l’omosessualità, bensì la paura della non comprensione, oppure meglio, la certezza di non essere compreso dalla società in cui vive, che è imperfetta. Il godimento del piacere – è solo uno dei temi che rendono eterne, atemporali e così attuali le poesie di Kavafis. Kavafis nutrì per tutta la vita un senso di chiusura, di segregazione vergognosa e necessaria. Potenze oscure e indefinibili lo hanno murato “inavvertitamente” in una stanza buia, insieme figura della passione e della paradossale ascesi interiore e artistica cui essa lo spingerà, dove il poeta sa di non poter trovare una finestra aperta sul reale e sulla libertà, ed è al tempo stesso lambito dal pensiero angoscioso che l’impossibile finestra gli recherebbe la luce troppo cruda di scoperte ancora peggiori della presente oscurità.

“Candele”, è il frutto di una visione malinconica e nostalgica della vita, descritta come un percorso lineare che si consuma via via che si va avanti. . La metafora utilizzata da Konstantinos Kavafis è quella delle candele: quelle spente rappresentano la vita svanita, il passato, mentre quelle ancora accese rappresentano l’avvenire, quel pezzo di tempo che rimane da vivere. Ci si proietta verso il futuro, per quanto incerto e sconosciuto, per non annegare nella paura del tempo che passa inesorabile, mentre noi, distratti, ci avviciniamo sempre di più alla morte. Una poesia malinconica ed evocativa che parla di una sensazione che, probabilmente, molti fra noi hanno sperimentato e sperimentano ogni giorno.

CANDELE

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese,
dorate, calde e vivide.
Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine danno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.
Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto,
la memoria m’accora il loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.
Non mi voglio voltare, ch’io non scorga, in un brivido,
come s’allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

*Bella e profonda questa metafora della vita, le candele accese e vivide dei giorni futuri sono sempre meno, mentre si allunga la fila di quelle spente, il cui sguardo ci fa rabbrividire. Allora preferiamo guardare a quelle ancora accese Illudendoci che non finiranno mai.