Intervista a cura di Gino Morabito

Catania, quella dimensione della provincia che lo rende anche meno omologato, meno standardizzato. Probabilmente sarebbe stato uno dei tanti architetti di interni, fortuna che la musica è arrivata in tempo per salvarlo.

Agli esordi della carriera, Mario Venuti aveva circa quindici anni e frequentava l’istituto d’arte. L’anno del suo diploma i Denovo erano già avviati e suonavano gli Ottanta. A guardarsi indietro sembra un’altra vita. In gruppo poi da solista, di acqua e note ne sono passate sotto i ponti.

Lunedì 10 ottobre al Teatro Ambasciatori per l’ultima tappa di Tropitalia. Dopo oltre venti date in giro per l’Italia, l’artista siciliano concluderà un’intensa estate di live, tornando finalmente a incontrare il suo pubblico. Sul palco, la band composta da Tony Canto, produttore artistico dell’album nonché special guest fisso in questo tour, Vincenzo Virgillito al contrabbasso, Franco Barresi alle percussioni e Manola Micalizzi alle percussioni e cori. Organizzazione e management di Puntoeacapo Concerti.

Un concerto che ripercorre trent’anni di carriera. La carriera di un raffinato artista pop. Fuori dal tempo, come uno degli ultimi interpreti di un’epoca destinata al tramonto, che rimane fedele a una certa estetica della musica.

«Un’estetica pop. Quell’eterna ricerca della canzone perfetta, nel tentativo di racchiudere tutto un mondo in tre minuti. Un’estetica che perseguo continuando una certa tradizione autorale, avendo assimilato importanti lezioni da tanti grandi della musica italiana e internazionale, che hanno contribuito a forgiare il mio stile. Aperto alle contaminazioni, alle novità musicali. Alle sfide.»

Come nell’ultimo disco Tropitalia, dove ha trovato il coraggio di misurarsi con un repertorio così popolare, che è rimasto indelebile nell’immaginario collettivo.

«Proponendolo però in un modo diverso dal solito. Un album che nasce assecondando la mia passione per la musica brasiliana, che è ultraventennale, con la complicità di Tony Canto, anch’egli un grande appassionato del Brasile.»

Dal grande affresco realizzato con quelle sfumature che richiamano le atmosfere dei tropici alle periferie di un’umanità, vitale e dolente, che popola il ventre della sua città.

«Catania è una città problematica e l’umanità che la popola è piuttosto anarchica, indisciplinata, refrattaria ai cambiamenti. Tutto sommato, comunque, resta una città abbastanza dinamica, a dispetto dei siciliani che nella storia si sono contraddistinti per essere dei fantastici passatisti. Forse per pigrizia, facciamo fatica ad accettare i cambiamenti. E questo ci penalizza.»

Sul palco, la celebrazione di una festa.

«Una serata conclusiva durante la quale verrà ripreso il concerto, per poi diffondere il materiale audio-video come contenuto web. Vorrei che rimanesse una traccia, un documento filmato che immortali soprattutto le mie canzoni riarrangiate appositamente per questo tour. Brani che sono stati ulteriormente “tropicalizzati” in una maniera che reputo davvero interessante.»

Qualche giorno per tirare un po’ il fiato e poi da novembre in studio di registrazione.

«Nel prossimo capitolo musicale ci sarà una sorta di evoluzione, a partire dal discorso lasciato interrotto anni fa, agli inizi della mia carriera. Sarà un progetto di “tropicalismo” all’italiana ma con degli elementi più moderni, avanguardisti, sulla scia del lavoro fatto da Arto Lindsay a New York producendo i dischi dei brasiliani. Con quel tipo di sound che è antico e moderno allo stesso tempo.»

Tra gli incontri significativi, nel percorso umano e artistico di Mario Venuti, sicuramente quello con Francesco Virlinzi, con Carmen Consoli, Kaballà e Francesco Bianconi dei Baustelle, del quale ci saranno contributi anche nel nuovo disco.

«Voglio che la mia musica nasca dall’incontro. Con altri luoghi, con altre sonorità, altri autori, produttori, musicisti. La musica che si guarda l’ombelico dopo un po’ diventa sterile. Io invece ho ancora bisogno di nuovi stimoli, di qualcosa che mi scompigli un po’ le carte. Per evitare di restare intrappolato nello schema del mero esercizio di stile, che può diventare vuoto.»

Per quanto un cantautore cerchi di raccontare delle storie, alla fine viene sempre fuori la verità. E, nel racconto di quelle favole, c’è dentro la propria identità: quello che si è, ciò in cui si crede.

«È difficile il rapporto con la propria identità. Sulla scorta degli insegnamenti di alcuni grandi della poesia e della letteratura come Fernando Pessoa e Luigi Pirandello, che hanno approfondito il gioco delle maschere, noi, per fortuna, ci costruiamo tante altre identità che diventano importantissime perché rinnovano in qualche modo il quotidiano, rendendo più interessate la vita.»

Una vita vissuta con determinazione.

«Sono prossimo ai sessanta, li compirò l’anno prossimo, ed è un’età in cui è facile farsi prendere dall’apatia; in cui talvolta mancano gli stimoli, si assopiscono i desideri, tutto sembra un po’ sbiadirsi. Ecco che allora entra in ballo la determinazione. Quella determinazione che ti spinge a cercare nuovi stimoli, che ti rende capace di adattarti ai cambiamenti, sapendo apprezzare quello che la vita ti offre, senza indulgere troppo nel ricordo di quella giovinezza che fu. Bisogna essere determinati per andare avanti. È fondamentale uno scatto di volontà per continuare la mia evoluzione.»