editorialeNel lento scorrere di giorni, in questo autunno caldo e un po’ bizzarro, ho pensato che presto arriverà una data, il 25 novembre, che irrimediabilmente è legata alle donne vittime di violenza e che è diventata la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.  In molti paesi, come l’Italia, il colore esibito in questa giornata è il rosso e uno degli oggetti simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna, allineate nelle piazze o in luoghi pubblici, a rappresentare le vittime di violenza e femminicidio. L’idea è nata dall’installazione “Zapatos Rojos”, realizzata nel 2009 in una piazza di Ciudad Juarez dall’artista messicana Elina Chauvet, ispirata all’omicidio della sorella per mano del marito e alle centinaia di donne rapite, stuprate e assassinate in questa città di frontiera nel nord del Messico, nodo del mercato della droga e degli esseri umani. Mi capita spesso di riflettere su queste ricorrenze e sull’importanza che la nostra società attribuisce a celebrazioni che palesano realtà tangibili e drammatiche, ma nel nostro caso esiste, purtroppo, un fatto grave e inaudito che aiuta a spiegare l’origine di questa data che ci impegna a fare un salto nel passato, precisamente al 1960. In quell’anno, il 25 novembre, le sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal che avevano combattuto la dittatura di Rafael Leonidas Trujillo (1930-1961), con il nome di battaglia Las Mariposas, (le farfalle), per il loro coraggio di opporsi alla dittatura e di lottare per i diritti femminili, furono brutalmente uccise dagli agenti segreti del dittatore, a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana. Quel giorno le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare, condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze dove furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. L’assemblea delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata in loro memoria: il 25 novembre del 1981 avvenne il primo “Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche”, proprio in memoria delle sorelle Mirabal, e da quel momento il 25 novembre è stato riconosciuto come data simbolo. Nel 1999 è stato istituzionalizzato anche dall’Onu con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre. Il valore di questo provvedimento è notevole e soprattutto intende sensibilizzare le persone rispetto a questo argomento e dare supporto alle vittime. Nella memoria storica rappresenta una speranza per tutte quelle donne che non si arrendono, che continuano a credere nei propri ideali e nel bene dell’umanità, ma che ogni giorno, purtroppo, continuano a morire, sotto i colpi di chi considera ancora la donna come proprietà privata o come un oggetto da collocare a proprio piacimento in una casa murata e senza luce. Perché oggi, ancora oggi, nonostante si metta in mostra ogni istante della propria vita nelle varie storie ben confezionate sui social, ciò che sostanzialmente accade è quello di ritrovarsi, inevitabilmente, soli, poveri nei sentimenti, preda dell’indifferenza, della chiusura, con la minaccia di essere coperti dalla coltre del silenzio e dell’abitudine. Molte donne, zittite da una maschera di paura, si vedono costrette a vivere una vita – non vita, artificialmente costruita su falsità e mode, stereotipi che inducono ad un’assuefazione a volte alienante. Ricorrenze come questa del 25 novembre ci danno l’occasione per ricordare, per approfondire e tentare di scongiurare, per il futuro di tante donne, la spietata ripetizione di violenze e coercizioni. Molto importante è la divulgazione che, attraverso i vari mezzi di volontariato e di comunicazione, offre la possibilità di conoscere e di operare nel soccorso di tante donne che si ritrovano sole e abbandonate, nel tentativo grande e virtuoso di arginare episodi di violenza e maltrattamenti, minacce e sopraffazioni, cercando di assicurare una protezione, aiutandole a denunciare e offrendo loro un sostegno dopo la denuncia. Se ci fermiamo a riflettere su quanto sta accadendo quotidianamente a donne che sono soffocate dalla paura, dal panico che impedisce di raccontare tutto ciò che vivono e subiscono sulla propria pelle, ci rendiamo veramente consapevoli che il 25 novembre è tutti i giorni, perché tutti i giorni ricorrono episodi e fatti che ci fanno ricordare la triste fine delle sorelle Mirabal, donne che hanno pagato con la vita la voglia di libertà e di autenticità.
Maria Rosaria Teni

Mi piace concludere con una lirica di una poetessa salentina, Maria Rosaria Perrone, autrice della silloge “Le farfalle continuano a volare”, da cui è tratta la lirica “25 Novembre”:

Le donne graffiate
nella carne
vivono in silenzio,
nelle grinze dell’anima
profonde pene,
scandite da ventri squarciati
e ingravidati.

Timorose per la prole
e sottomesse a quello
che credono amore,
miniano i loro volti e
con speranza, dispongono
le dolci labbra, che
con sconforto
s’arrossano invece
di dolore.

Quell’amore malato
taglia loro la lingua.
Spaventate e ferite
sussurrano al vento
un sommesso lamento.
Annullate, col cuore piagato
implorano clemenza al cielo,
per scongiurare la cassandrica
premonizione e avere la prodezza
della ribellione.
Maria Rosaria Perrone