“L’Accademia della Follia con Claudio Misculin è nata nell’ospedale psichiatrico di San Giovanni a Trieste. Erano i giorni in cui, arrivato Franco Basaglia, le porte si aprivano, gli internati circolavano per il parco e cominciavano a guadagnare la città.” – Peppe Dell’Acqua

“Accademia della follia. Un viaggio lungo trent’anni” edito dalla casa editrice mantovana Negretto Editore nel 2022 (collana Cause e Affetti diretta da Cinzia Migani) è un saggio che comprende una serie di brani aventi autori diversi e curato da Angela Pianca e Franco Rotelli. Ogni autore ed ogni autrice presente ha collaborato con l’Accademia della Follia impegnandosi nel portare avanti il progetto teatrale e culturale fondato nel 1992 a Rimini da Claudio Misculin, Cinzia Quintiliani ed Angela Pianca. Il sottotitolo del volume recita infatti “Un viaggio lungo trent’anni” ed al suo interno si potrà percorrere la vorticosa strada intrapresa da coloro che hanno partecipato all’Accademia come concreta possibilità di ricerca nella quale il teatro è diventato terreno fertile e comune per presentare e preservare la diversità e la sua trasformazione.

I contenuti del libro sono variegati: pare di assistere ad una pièce quando si osserva da vicino l’indice verso il quale non si resta indifferenti perché i titoli dei capitoli e dei paragrafi incuriosiscono ed intrattengono oltre ad informare sull’argomento esposto. È, infatti, composto dal “Prologo” suddiviso in due articoli Io sono tu che mi fai (Salve Claudio Misculin) di Giuliano Scabia e Claudio Misculin e il Teatro della veritàdi Peppe Dell’Acqua; dall’“Introduzione” (Comproprietari di un’utopia) di Angela Pianca; dal Capitolo 1 “Da una vita malata alla malattia del teatro. Anni ‘70” (Ma era bello avere la democrazia a colazione di Franco Rotelli, Claudio Misculin: maestro di disalienazione del corpo di Angela Pianca); dal Capitolo 2 “Da vicino nessuno è normale. Anni ‘77/’80” (I soggetti? Narrarli di Franco Rotelli, Raccontarla per vivere. Prima sfida: esistere di Angela Pianca, Giovanni Spiga vagabondo delle stelle); dal Capitolo 3 “Matti di mestiere e attori per vocazione. Anni ‘85/87” (Riuscirete voi spettatori a distinguere sul palco il matto dall’attore? di Angela Pianca, Matti di mestiere e attori per vocazione, La Blaue Karawane in Germania e la Caravana Azul in Spagna, Tagliare ancora la testa al re di Franco Rotelli, La formazione e la Scuola: Velemir Dugina, Teatro e diversità: momenti di azione e riflessione teatrale. Il Convegno, La Collina, l’Impresa sociale e Il Progetto 89, Mattjakovskij, la consacrazione); dal Capitolo 4 “Tecnica + Follia = Arte. Il metodo” (Una storia speciale di Franco Rotelli, Dall’eccezione al metodo delle eccezioni di Angela Pianca); dal Capitolo 5 “Accademia della Follia. Noi siamo gli errori che permettono la vostra intelligenza. Anni ‘90” (L’Istituzione inventata di Franco Rotelli, L’Accademia della Follia. Noi siamo gli errori che permettono la vostra intelligenza di Angela Pianca, Claudio Misculin. L’artista, il genio, l’uomo. Un amico di Rita Giannini); dal Capitolo 6 “Io sono tu che mi fai. Dal 2000 ad oggi” (Per un’impresa sociale di Franco Rotelli, Accademia della Follia, istituzione inventata nell’impresa sociale di Angela Pianca, Pezzi di vita. Pezzi di amore di Fabrizio Lazzaretti, La Casa Rossa, detta la Comunarda, Il Brasile di Mister Blu di Cinzia Quintiliani e Carmen Palumbo, Le geografie corporee: dello spazio, delle emozioni e della danza di Ana Dalbello, Non vuoi non puoi di Giancarlo Majorino, Oggi per domani di Angela Pianca, Il cantico dei matti di Bianca D’Aponte e Claudio Misculin); dall’Epilogo “Io sono Dio e non voglio guarire” di Claudio Misculin, da “Le tesi dell’Accademia della Follia” a cura di Giancarlo Majorino, Giuliano Spazzali, Giuseppe D’Arrigo, Donata Roma, Alberto Visini, Claudio Misculin, Angela Pianca, Cinzia Quintiliani; da “Teatrografia” (elenco delle produzioni teatrali dal 1978 con “Prometeo: storia di potere e ribellione” diretto da Maurizio Soldà al 2022 con “Noi sappiamo i nomi, in viaggio con Pier Paolo Pasolini” diretto da Antonella Carlucci e Sarah Taylor); chiude “1.000 nomi”, elenco dei nomi di mille persone che hanno camminato assieme all’Accademia.

“Dentro al cerchio magico del nostro teatro accogliamo i folli, grattiamo le incrostazioni manicomiali dei corpi e sotto i ghigni fissi ritroviamo le facce, raccogliamo storie, lettere, testimonianze, poesie e tutto questo lo mettiamo in scena. […] Claudio Misculin con la sua Accademia della Follia è stato il più grande affabulatore della rivoluzione basagliana. Per quarant’anni in ogni intervento, in ogni intreccio e azione scenica, in tutti gli spettacoli ha narrato questa storia. Con parole sue o prestate da autori diversi. Non senza carnosi attriti, con lieve e forte disperazione.” – dall’Introduzione di Angela Pianca

Claudio Misculin (Trieste, 1954 – Trieste, 2019) da attore e regista teatrale fu partecipe della rivoluzione avviata da Franco Basaglia dal 1971 in poi, fondando il primo gruppo di “teatro dei matti” nel 1976 e partecipando attivamente alla costruzione di quell’audace idea che portò la realizzazione della “Legge 180”. L’incontro del 1977 con il drammaturgo Giuliano Scabia (Padova, 1935 – Firenze, 2021) è stato fecondo e ha portato all’uso dello “schema vuoto”, cioè un canovaccio di possibilità di azioni da compiere così da cogliere l’evento nel suo incedere.

“Spesso mi chiedo dove sia, quale sia il teatro. Dove siano gli scrittori, i poeti. Se in Roma, nei palazzi, in Milano, dagli editori, o ai margini a cavarsi gli occhi, chissà dove, finché un loro messaggio arriva o si perde. Se i poeti, a volte, non siano certi curatori di anime e menti che ho imparato a conoscere, che a questa cultura dedicano la loro capacità di reinventare il gusto di vivere.” – Giuliano Scabia

L’Accademia della Follia basa le sue fondamenta sulla convinzione secondo la quale la follia sia un valore aggiunto nel campo artistico e teatrale, gli esponenti di questo laboratorio che segue il metodo fondato da Misculin propongono un esercizio quotidiano in concomitanza con l’introspezione psicofisica per arrivare alla realizzazione di ogni individuo ed al benessere individuale. Personalizzare gli “allenamenti” all’arte teatrale è stato decisivo per comprendere come salvaguardare le peculiarità di ogni individuo caratterizzato da fragilità psichiche e fisiche diverse.

“Riaprire i terreni della narrazione, intercalare normalità e normali follie, divertirsi della vita e delle vite non è negare diritto alla cura ma rivendicare il diritto ad occuparsi degli altri e che qualcuno si occupi di te, chiunque tu sia, dovunque tu ti sia fermato, rinchiuso nel dolore o nell’idea fissa o immutabile, nella ripetitività afinalistica o nel delirio, nella defezione dal mondo o nella dissociazione dalla catena linguistica che costituisce un mondo di appartenenza.” – Franco Rotelli

Lo spettacolo diventa il terreno fertile nel quale l’attore può scavare alla ricerca di sé. Recitare diventa guardare se stessi interpretare una parte ed avere ferma coscienza della presenza del pubblico e degli altri attori presenti come parte attiva del medesimo copione. Il regista teatrale Eugenio Barba (Brindisi, 1936), allievo del Maestro polacco Jerzy Grotowski, è ben riuscito a rappresentare questo bisogno della pratica teatrale come ricerca interiore.

“Il teatro, infatti, è costituito di radici che germogliano e crescono in un luogo ben preciso, ma è anche fatto di semi portati dal vento, seguendo le rotte degli uccelli. I sogni, le idee e le tecniche viaggiano con gli individui, e ogni incontro deposita polline che feconda e i frutti maturano dalla fatica caparbia, dalla necessità cieca e dallo spirito di improvvisazione e contengono semi di nuove verità ribelli.” – Eugenio Barba

Un metodo che può essere considerato un vero a proprio training di sopravvivenza votato all’eccesso, nel quale attraverso l’improvvisazione si ha la possibilità di migliorare la qualità di vita sfogando, sviluppando ed elaborando lo stesso “eccesso”. Il teatro, palcoscenico dell’eccesso per convenzione, diventa un luogo nel quale il “delirio” permette di vedere le contraddizioni insite in ogni essere umano.

“Noi siamo quelli che chiamano matti/ Nella notte vaghiamo distratti/ Pecore nere di ogni famiglia/ Noi giochiamo soltanto con chi ci somiglia/ Non fa paura la notte più nera/ Inseguiamo la nostra chimera/ Siamo viandanti, sognatori/ Quelli che i benpensanti chiamano errori// Sembriamo un popolo di mendicanti/ Basta niente per essere contenti/ Mano tesa a voi passanti/ Non chiediamo monete, ma sogni in contanti/ Bimbi tirati da padri impauriti/ Perché guardano a noi incuriositi/ «Devi scordarli, disprezzarli/ Possono metterti in testa strani tarli»// […]” – da “Il Cantico dei matti” testo e musica di Bianca D’Aponte e Claudio Misculin

Written by Alessia Mocci

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