«Non voglio rivederla mai più!»

La decisione di Renato era ferma. Aveva promesso a sé stesso che non avrebbe più permesso a quella donna di fargli del male: l’avrebbe tenuta il più lontano possibile, a qualunque costo e in qualsiasi circostanza.

Anche in quella. A niente sarebbero valse le mille insistenze dell’amico di sempre, Carlo, un ragazzo buono come il pane, che ben conosceva il valore del perdono, quel perdono che Renato non riusciva proprio a concederle.

«Renato cerca di essere ragionevole, è stata comunque una persona importante nella tua vita, non puoi essere così indifferente. Ti prego ripensaci.»

Carlo, al quale era stato affibbiato il titolo onorifico di “zio” della comitiva, per sottolinearne la maturità e la disponibilità, era il punto di riferimento di tutti nel gruppo, in grado di rassicurare chiunque di loro. Era l’unico fra gli amici che già viveva da solo e lavorava; scelta non sua, ma del destino, che gli aveva portato via entrambi i genitori e l’unico fratello in un incidente stradale. Ma tutto ciò lo aveva temprato, reso forte e generoso, per niente inaridito. Così spesso, anche per colmare i vuoti che la vita gli aveva creato intorno, metteva la sua casa a disposizione per cene, feste e altro.

Proprio in quella casa ebbe inizio la storia d’amore tra Renato e Marisa.

L’aveva conosciuta in un assolato pomeriggio estivo. Lui passeggiava sul lungomare in cerca dello scatto perfetto tra nuvole, mare e cielo.

Lei era seduta al tavolino di uno chalet a godersi un aperitivo con le amiche e Renato che l’aveva subito notata cominciò a scattarle delle foto, prima in lontananza, poi avvicinandosi sempre più alla sua ignara musa. A quei tempi coltivava ancora l’ormai remoto sogno di diventare un bravo fotografo, tanto incompreso dai genitori, che dopo il liceo avrebbero voluto vederlo iscritto alla facoltà di medicina. Figuriamoci, lui che non sopportava neanche la vista di una goccia di sangue e che aveva una gran repulsione per gli ospedali!

Ma il padre era un noto primario di chirurgia e questo non aveva mai voluto accettarlo. Per questo Renato, ribelle in una famiglia di borghesi, preferiva gironzolare con i suoi jeans sdruciti, la fedele reflex, pochi soldi in tasca e tanti sogni nella testa. La famiglia gli stava stretta, strettissima, non vedeva l’ora di mandarli tutti al diavolo e non poteva immaginare che quella ragazza gliene avrebbe dato il pretesto.

Marisa non sembrò scocciata da quelle attenzioni e lo invitò a sedersi al tavolo per fare quattro chiacchiere. I due si piacquero subito e per di più avevano alcuni punti in comune; erano entrambi dei ribelli in contrasto con le proprie famiglie. Lei in particolare fuggiva da un padre padrone, anche violento, che avrebbe voluto relegarla come sua madre al focolare domestico. Marisa invece era una donna fiera, intraprendente, piena di voglia di affermarsi nella vita, oltre il ruolo di moglie e madre che la società patriarcale impone spesso alle donne. Una femminista convinta insomma, aggressiva e grintosa quanto basta. Questa nota caratteriale, al tempo stesso, attraeva e spaventava Renato, che di natura era un tenerone, anche se cercava di nasconderlo, proprio per non rendersi vulnerabile al sesso femminile e al prossimo in genere.

Poi c’era quella strana storia che Marisa voleva diventare infermiera; lui odiava gli ospedali e lei voleva lavorarci. Bene, ottima premessa per iniziare un rapporto, pensò lui; poco male, non l’andrò mai a prenderla sul lavoro, si rispose nella mente.

Entrambi erano giovani, ribelli, sognatori, con un progetto ambizioso da realizzare; valeva la pena di approfondire quella conoscenza e così la invitò per quella sera stessa a casa di Carlo, lo “zione” dell’allegra compagnia. Marisa quella sera stessa diventò una nuova affiliata al clan, che accoglieva il suo primo membro femminile.

Non solo, Marisa quella sera diventò anche la donna della vita di Renato, che dai primi istanti in cui posò lo sguardo su di lei, coltivò per quella ragazza un amore speciale che non poteva che crescere.

Quello che non sapeva Renato era che un amore così grande può anche distruggerti, se la persona dall’altra parte lo usa come un suo potere su di te. Carlo, durante la loro storia cercò più volte di fargli aprire gli occhi, ma Renato era cieco e sordo, tranne che ai richiami della sua sirena.

Nel giro di un anno si sposarono, in comune senza il consenso dei genitori, che disapprovavano quell’unione su tutta la linea; erano presenti solo i soliti amici capitanati da Carlo, che come ci si aspettava mise la sua casa a disposizione per il rinfresco.

Renato vendette l’inseparabile reflex per comprarsi un abito per l’occasione; si raccontò che prima o poi l’avrebbe ricomprata, ma non lo fece mai.

Trovò lavoro come custode in un parco condominiale nella prima periferia della città, assicurandosi in quel modo anche l’alloggio, compresi i consumi essenziali di acqua, gas ed elettricità. I mobili li avrebbe procurati man mano con l’aiuto degli amici; i primi tre mesi dormirono su un materasso steso sul pavimento.

Ma si amavano e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per realizzare i desideri e i sogni della fata che incantava ogni cosa. Il sogno di Marisa di diventare infermiera non si doveva arenare come la sua passione per la fotografia, Renato non lo avrebbe permesso, ma del resto la stessa Marisa non vi avrebbe mai rinunciato. Mentre di giorno lui smistava la posta o innaffiava le aiuole, lei frequentava le sue lezioni di scienze infermieristiche al Policlinico Universitario.

Lui era come spento e stanco, lei radiosa e soddisfatta. Lui stressato dal lavoro, lei gratificata dagli studi. Il rapporto era squilibrato, ma Marisa a tempo debito, sapeva fare le fusa, avendo ormai conosciuto e imparato il lato tenero del suo Renato.

A lui in quel momento sembrava che tutto quello potesse bastare, non pensava che un giorno a Marisa non sarebbe bastato più.

«Renato, pensa un po’ più a te stesso amico, ti stai sacrificando troppo alla tua età.»

Gli ripeteva Carlo ogni volta che andava a trovarlo sul lavoro. Sì, perché Renato si era allontanato anche dagli amici e l’unico modo di vederlo per Carlo era recarsi sul suo posto di lavoro.

«Venite qualche volta a cena tu e Marisa, è tanto tempo che non vi fate né vedere né sentire. Tutti chiedono di voi.»

«Lo so, anche a me mancate tutti, ma sono molto stanco ultimamente e poi Marisa è super impegnata con i corsi. Sai, se tutto va bene dovrebbe laurearsi nella prossima sessione estiva.»

«Che bella notizia, mi fa molto piacere per lei. Così per l’occasione potremmo organizzare una bella rimpatriata.»

«Certo, è una buona idea.»

 Finivano sempre così i loro discorsi, con i forse, magari, chissà; poi non si riuscivano mai a rincontrarsi tutti insieme.

Anche quando alla fine Marisa si laureò, Carlo fu invitato alla festa che fu organizzata nel giardino di una amica che si era laureata insieme a lei. Della rimpatriata neanche a parlarne.

Carlo aveva un brutto presentimento per l’amico, ma era pronto a raccoglierne i cocci se fosse stato necessario. Sperava di sbagliarsi, ma purtroppo per Renato non fu così.

Marisa riuscì subito a inserirsi anche col lavoro, grazie a delle conoscenze che aveva fatto durante il suo corso di studi; stava realizzando tutti i suoi sogni, era diventata infermiera e si era anche impiegata presso una rinomata clinica.

I suoi sacrifici erano stati ricompensati, ma non lo sarebbero stati quelli che Renato aveva fatto per lei.

Annullandosi totalmente, lui aveva permesso a Marisa di studiare, mantenendola agli studi e allontanandola dal suo ambiente familiare poco sereno. Tutto per quella donna, che gli era entrata dentro come un veleno senza antidoto.

E infine venne quel giorno, in cui lei tornata dal lavoro, disse a Renato che gli doveva parlare.

«Renato mi sono innamorata di un altro.»

«Ma come? Da quanto tempo?»

«Che importa! Ormai le cose tra noi è da un po’ che non vanno.»

«Ma cosa stai dicendo? Non è vero, io ti amo come sempre.»

«Io invece per te in questo momento sento solo dell’affetto, niente di più. Quell’uomo simpatico, ribelle, sognatore di cui mi sono innamorata non esiste più. Sei cambiato, sei diventato apatico, spento. Mi dispiace ma le cose stanno così»

Spento, lo stesso aggettivo che aveva usato anche Carlo per rimproverarlo.

Spento, come realmente si sentì in quel momento.

Spento, come avrebbe voluto tutto il mondo intorno a sé, per silenziare quel dolore che gli urlava dentro.

Cadde seduto sulla sedia con la testa tra le mani, mentre lei preparava la valigia con lo stretto indispensabile; il resto lo avrebbe preso in seguito.

Quei pochi anni di matrimonio pieni di amore e di devozione per lei, erano serviti a Marisa solo a raggiungere i suoi obiettivi; ora che poteva fare a meno di lui perché era diventata la donna che sognava, indipendente e realizzata, poteva disfarsi dello zerbino consunto e sostituirlo con uno più alla sua altezza.

Renato si sentiva tradito, usato: amare era stato solo un vuoto a perdere.

Carlo, che corse a consolarlo, lo aveva avvertito della sua totale cecità, ma ormai era fatta. Si separarono e lei andò a vivere con quell’altro.

Ma l’epilogo della storia ancora doveva arrivare.

Mesi dopo Marisa ebbe un grave incidente d’auto; rientrava a casa dal turno di notte e un camion sbandando la travolse.

Non morì, ma le sue condizioni erano gravi; si trovava in coma farmacologico, mentre Carlo supplicava l’amico di andare a trovarla.

Ma Renato era irremovibile, con lei aveva chiuso per sempre, non ne voleva sapere, solo rivederla avrebbe potuto farlo stare male, non per la gravità delle sue condizioni, ma per il ricordo di quell’amore che ormai odiava con tutte le forze. Restavano solo le solite parole di un sentimento fragile; come l’asfalto consuma la suola, l’amore si odia.

Giorni dopo Carlo tornò da Renato.

«Ora è davvero finita per sempre amico mio, Marisa è morta. Concedi a te stesso almeno di dirle addio al suo funerale. Chiamami, se vuoi ci andiamo insieme.»

Non ci andò, ma quel giorno pianse tanto in completa solitudine; nessuno mai più avrebbe dovuto vedere la sua fragilità e approfittarne.

Per il resto della sua vita sarebbe stato fiero ed egoista, proprio come Marisa gli aveva insegnato a essere.