Alessandria, post pubblicato a cura di Pier Carlo Lava 

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Carlo Baviera

(Seconda parte di commento al libro di Bodrato)

Il libro di Guido Bodrato <Le stagioni dell’intransigenza>, di cui ho già trattato verso fine 2022, si apre col ricordo della considerazione dello storico Federico Chabod il quale riteneva la nascita del PPI “l’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo” e di Emilio Gentile che la definisce “la principale novità nella politica italiana del ‘19”. E potremmo aggiungere che lo stesso Antonio Gramsci salutò la nascita del nuovo partito  come “il fatto storico più grande dopo il Risorgimento”.

Se questo è vero, anche se sono giudizi espressi nella prima metà del secolo scorso, dobbiamo rilevare che la storia (quella che studiamo e quella che ci è narrata su libri e riviste autorevoli) non mette nel dovuto risalto l’avvenimento e ciò che esso significa. Un peccato non marginale, pur se in parte comprensibile per l’importanza storica del periodo dittatoriale, della guerra e della resistenza, oltre che della vita democratica nazionale dei decenni successivi alla scelta repubblicana.

Quali furono i prodromi del popolarismo? Vi furono gli effetti del non expedit (il divieto di partecipare, per i cattolici, alle elezioni); gli anni dell’associazionismo in cui si preparavano ad entrare nell’agone politico dando vita ad iniziative economiche, culturali, educative e di cooperazione le quali costituirono base per un programma e una proposta di organizzazione della società articolata e libera;

In quegli anni vi furono la diffusione del Programma di Torino (nel 1899), e nel 1901 del Programma di Milano contenenti punti programmatici come la libertà di insegnamento, l’importanza dei corpi intermedi quali la famiglia, i Comuni e l’organizzazione della classi, il decentramento amministrativo, la tutela del lavoro della piccola proprietà e del settore agricolo, la rappresentanza proporzionale, la riforma tributaria.

Poi nel 1905, anche a seguito di esperienze amministrative che si erano verificate in più parti d’Italia, il Discorso di Caltagirone tenuto da Sturzo sulle questioni della vita nazionale che coinvolgevano anche i cattolici in quanto cittadini. E’ il famoso discorso in cui Sturzo getta le fondamenta del popolarismo: l’importanza della questione sociale, la necessità che anche i cattolici entrino in campo non in rappresentanza della Chiesa ma assumendosi autonome responsabilità (Ora, io stimo che sia giunto il momento [..] che i cattolici, staccandosi dalle forme di una concezione pura clericale, [..] si mettano a paro degli altri partiti della vita nazionale, non come unici depositari della religione, o come armata permanente delle autorità religiose che scendono in guerra guerreggiata, ma come rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del viver civile), il superamento del potere temporale del Papa e l’accettazione dell’Unità nazionale, l’accettazione della democrazia (o sinceramente conservatori, o sinceramente democratici; E’ chiaro che io stimo monca, inopportuna, contrastante  ai fatti, rimorchiante la chiesa al carro dei liberali, la posizione di un partito cattolico conservatore; e che io credo necessario un contenuto democratico del programma dei cattolici nella formazione di un partito nazionale. [..]La necessità della democrazia del nostro programma? Oggi io non la saprei dimostrare, la sento come un istinto; è la vita del pensiero nostro. I conservatori sono dei fossili, per noi, siano pure dei cattolici: non possiamo assumerne alcuna responsabilità. Ci si dirà: ciò scinderà le forze cattoliche. Se é così, che avvenga. Non sarà certo un male quello che necessariamente deriva da ragioni logiche e storiche, e che risponde alla realtà del progresso umano), un programma democratico-sociale.

Mi piace a questo punto annotare, a conferma che Sturzo non si muoveva individualmente ma in sintonia col pensiero anche di altri attenti alle novità, che già sei mesi prima nella mia Diocesi di Casale Monferrato il Can. Oldano affermasse alcuni concetti coincidenti (non possiamo avversare la democrazia: essa è nata dal cristianesimo: l’amiamo perchè è nostra. Ora che ogni cittadino è re o almeno il tramite per cui si comunica il potere, potremo noi sottrarci alla responsabilità della vita pubblica e non sentirne nella nostra coscienza il peso e la sollecitudine? Cristiani dunque, cristiani sociali e cristiani del secolo XX.  Noi in nome di Cristo abbiamo ben altro a fare che l’ufficio del gendarme per guardare la cassaforte del capitalismo liberista. Il capitalismo la ricchezza senza doveri verso la collettività, è la ricchezza chiusa in un cerchio di egoismo senza pietà e senza affetti ed è pagano, non cristiano).

Come si può notare, gli impegni tengono conto anche dell’obiettivo e della necessità di sottrarre i lavoratori  al nascente e forte socialismo, ma anche quello di contrastare il liberalismo capitalista, insieme alla convinzione di animare e difendere “la comunità”, i corpi intermedi, le autonomie sociali ed economiche. E’ giusto chiederci se oggi ha ancora senso l’impegno per questi obiettivi. Se c’è ancora una base in cui seminare e che accolga e sostenga le battaglie relative in un mondo globalizzato, omogeneizzato anche a livello di pensiero, e con situazioni relazionali molto indebolite dalla cosiddetta disintermediazione.

Non a caso anche la “richiesta” di una presenza centrista nella politica che da qualche tempo sembra riemergere, a mio giudizio, è orientata più a svincolarsi dagli eccessi di una destra scivolata nel sovranismo e di una sinistra ideologica, populista, poco liberal-democratica e a volte statalista. Un centro che non è mai identificato (non solo ma in buona misura) col popolarismo sociale, delle autonomie e pluralista. E tutto il variegato e ricco mondo del volontariato, anche cattolico, è molto probabilmente lontano da quegli ideali: anche per mancata formazione e per la netta separazione tra l’impegno religioso/pastorale e quello socio/politico. Oltre alla diminuzione di quanti hanno un orientamento cristiano, in una società fortemente proiettata nell’individualismo e nella preoccupazione della difesa del benessere personale e con poche esperienze di condivisione ed esperienze di vita comune.

Tornando al libro di Guido Bodrato, questo mette in evidenza un iniziale entusiasmo. Anche a causa del periodo di attesa e preparazione con le speranze di inizio secolo. Da subito vi furono presenti anche divisioni e opinioni diverse, soprattutto riguardo alle alleanze (anche a livello di elezioni comunali) e di valutazione circa le lotte sociali, gli scioperi e le violenze che ne scaturivano come reazione. La rivoluzione sovietica in Russia e l’anticlericalismo fecero il resto.

Le divisioni all’interno del PPI furono causate anche dal modello di partito che si intendeva realizzare: partito cattolico (moderato e confessionale) oppure autonomo  e “laico” negli orientamenti, pur con la Dottrina Sociale quale riferimento di fondo? Ma pesarono anche e soprattutto le questioni sociali: la sinistra del partito era impegnata nel sostegno delle lotte contadine e inserite in quelle operaie osteggiando alleanze coi liberali; con i quali invece la parte più moderata e appartenente alla borghesia condivideva i timori per le azioni delle leghe sindacali. Per questo motivo, ricorda Bodrato, l’intransigenza (cioè il correre da soli) indicata da Sturzo doveva servire a non consentire rotture del partito e garantire il sostegno deciso dei programmi pur annacquati all’interno delle alleanze. Alleanze che in ogni caso vi furono nel sostegno ai Governi succedutisi in quel periodo (da Nitti, Giolitti, Bonomi, Facta, fino al primo Mussolini)

Questo discorso delle lotte sociali e dei programmi a sostegno di alcuni ceti disagiati o di categorie economiche ci porta a una considerazione sull’interclassismo. Ha ancora senso oggi e come interpretarlo? Proprio Guido Bodrato, nella stagione dell’onesto Zac, indicava l’interclassismo non come semplice presa d’atto dell’esistente ed equilibrio tra le classi sociali, ma come necessità di operare per elevare economicamente e socialmente i ceti più in difficoltà. Se quella è la logica ritenuta utile e indispensabile per porsi obiettivi politici anche nella società attuale, anche di fronte alle difficoltà che famiglie e categorie incontrano, allora sì l’interclassismo è ancora valido e va rilanciato, a cominciare dal sostegno a quelli che sono definiti corpi intermedi per ridare organizzazioni e nuclei che rappresentino e tengano unite persone e relativi interessi.

L’ultima nota è in relazione alla considerazione (c’è chi lo ha rilevato alla presentazione del libro) che il Movimento Cattolico, anche quello impegnato politicamente, risulta sovente debole e diviso di fronte alle difficoltà e alle scelte della storia, o incapace di cogliere con prontezza le novità positive per la democrazia. Valutazioni diverse riguardo a scioperi, questioni sindacati, alleanze: incertezze e preoccupazione di perdere centralità. E, non solo ad inizio anni venti del secolo scorso, opinioni diverse sul fascismo (tanto da allearvisi nel primo governo). Come già evidenziato in altro scritto, si pensò di “cristianizzare” e “democratizzare” questa degenerazione politica e culturale, questa visione virile del mondo che richiedeva cieca obbedienza e non ammetteva nessun diversità; non vi fu il coraggio di fare un passo in avanti da parte delle gerarchie cui interessava anche chiudere la questione romana.

Ci vollero anni per ricredersi e affermare che il fascismo (e suoi derivati) è il male, è l’antitesi della fede, di qualunque fede; è l’affermazione del primato della razza contro ogni diritto e dignità trascendente della persona. E questo vale anche per forme odierne aggiornate e più presentabili, che riescono addirittura ad ammaliare l’elettorato che le ritiene legittime e non pericolose: fu così anche allora per chi non volle capire.

Termino con l’auspicio che, oggi – troppo distolti da polemiche (a volte anche personali) su populismo, sovranismo, sulla pace (servono più armi o è ora della diplomazia e della tregua?), fra chi è più a sinistra e chi più al centro, fra chi considera “pubblico” ciò che è statale e chi invece ritiene esserlo anche il sociale senza scopo di lucro, fra chi è più radicale o più gradualista per la difesa del clima  non si perdano altre occasioni per dividerci fra forze democratiche lasciando spazio alle forze antisistema e autoritarie che stanno, un po’ dappertutto (ci ricordiamo del 6 gennaio 2021 con l’attacco dei trampiani al Campidoglio? e dei brasiliani che contestano l’elezione di Lula?) portando avanti un disegno accentratore, bonapartista, e illiberale.