Carnevale in poesia: Gabriele D’Annunzio

Il Carnevale è una festa di allegria, di tradizione cristiana che si festeggia dovunque, dove gli amanti dei travestimenti in questo periodo fanno faville con i loro personaggi sempre più nuovi e originali. Il termine Carnevale ha un’antica derivazione latina, “carnem levare”, con traduzione letterale “togliere la carne”, perchè in un lontano passato si organizzavano dei succulenti banchetti il martedì grasso, l’ultimo giorno di carnevale, al quale seguiva un periodo di astinenza con un digiuno della quaresima.

Carnevale è una festa dove l’ilarità e l’allegria non possono mancare. I bambini si divertono in tanti modi, con i coriandoli, con le trombette e con tanti giochi-scherzetto, tipo ragni finti e manganellate, che fa rincorrere gli uni con gli altri.

Carnevale vecchio e pazzo è il titolo di una poesia attribuita a Gabriele D’Annunzio (1863-1938), però, non c’è conferma in letteratura di quest’opera, né tantomeno la si trova nella raccolta Versi d’amore e di gloria. Il tema centrale della poesia è quello tipico del Carnevale, innanzitutto non si bada a spese per festeggiare e si compiono anche azioni scellerate (come vendersi il materasso, per esempio); poi c’è abbondanza di cibo e, soprattutto, di dolciumi – nella poesia sono nominati i tarallucci (che possono anche essere salati) e le frittelle –, ma anche di pane, cotechino e l’immancabile vino, che viene bevuto in così grandi quantità da far scoppiare la pancia del Carnevale che, tra l’altro, viene personificato e visto come un vecchio pazzo. Il fatto che gli scoppi la pancia per il troppo bere non gli impedisce di continuare a mangiare. La chiusa della poesia Carnevale vecchio e pazzo è amara, ma fa riferimento alla tipica usanza di bruciare un fantoccio alla fine del martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale.

Carnevale vecchio e pazzo

(Gabriele D’Annunzio)

Carnevale vecchio e pazzo

s’è venduto il materasso

per comprare pane, vino,

tarallucci e cotechino.

E mangiando a crepapelle

la montagna di frittelle

gli è cresciuto un gran pancione

che somiglia ad un pallone.

Beve, beve all’improvviso

gli diventa rosso il viso

poi gli scoppia anche la pancia

mentre ancora mangia, mangia.

Così muore il Carnevale

e gli fanno il funerale:

dalla polvere era nato

e di polvere è tornato.

*Una poesia tipica di questo periodo, attribuita al Vate, apparentemente allegra. L’ingordigia non è sempre sinonimo di divertimento, il vecchio, pazzo Carnevale mangia fino a scoppiare ma in fondo anche questa è una rappresentazione buffa che segue la tradizione del martedì grasso.