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Maria Teresa Infante racconta una storia che non esiterei a definire terribilmente romantica, tanto che, mentre leggevo, da subito il pensiero è andato ad opere capitali della corrente letteraria ottocentesca, quali “Affinità elettive” di Goethe e “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” di Foscolo, nonostante il modo di dare voce al sentimento dell’Amore sia così differente da fare vacillare ogni incasellamento in un preciso genere letterario.
Oggetti, personaggi, luoghi, situazioni sembrano, infatti, sfuggire alle categorie dello spazio e del tempo per divenire piuttosto un flusso di stati interiori, dominati dalla passione (intesa soprattutto come condizione del patior) e da un’ossessività straziante e assoluta. I due amanti sfuggono ad ogni caratterizzazione caratteriale, rappresentando gli Amanti per antonomasia.
Il nome di lei, non per nulla, è un gerundivo latino: Amanda, colei che deve essere amata, e lui non ha altro nome che Uomo, se è vero che soltanto è tale chi obbedisce alla verità del sentire.
Dunque Amanda e il suo amante sono ciascuno di noi o, meglio, coincidono con la nostra più intima necessità.
Come noi obbediscono a ruoli e regole, come noi sono attraversati da esigenze e desideri, spesso traditi in nome della norma intesa nella sua più ampia accezione: morale comune,, abitudini, schemi mentali, incapacità di disobbedienza. E poi c’è un tempo senza tempo, attestato da quel “Ad un’ora dal destino”, che apre ogni capitolo, che vede alternarsi i pensieri dei due amanti, come se la vita, tutta la vita di ogni essere umano, ubbidendo al richiamo ineluttabile del Destino, potesse identificarsi tout court con il suo compimento: il tempo di capire, di dire di sì, di eliminare ogni falsità.
Per un amore tanto assoluto, l’evento finale non può che essere la Morte (altro topos narrativo) che origina la vita dell’io nascosto, il suo compimento nell’oltre, che è anche l’altro da un esistere sbiadito, trascinato nel non senso.
Certamente non è semplice scrivere mantenenendosi fino all’ultimo fedeli ad un sentire eccezionale, fino ad una identificazione emotiva con i personaggi e il magma dei pensieri, delle percezioni, delle immagini trattenute dalla memoria o inventate da una sensibilissima immaginazione sentimentale.
Sembra di scorrere le pagine segrete di un diario, o di leggere la relazione di una seduta psicoanalitica, o la descrizione di uno stato onirico.
Eppure tutto questo possiede una forza rapinosa, un ritmo percussivo che si imprime nelle orecchie. Si giunge alla conclusione stremati, dolenti, pieni di domande su noi stessi, sul senso del vivere, sulle verità a cui ci teniamo vanamente aggrappati.
Franca Alaimo
Franca Alaimo vive e opera a Palermo, dove ha insegnato materie letterarie. Esordisce nel’91 con Impossibile Luna a cui seguono tante pubblicazioni, tra le più recenti sacro cuore (Ladolfi), Oltre il bordo (Macabor), 7 Poemetti (Interno libri). Autrice di tre romanzi – recente La gondola dei folli – e vari saggi sulla poesia; ha tradotto dall’inglese due sillogi di Peter Russel. Ha firmato centinaia di critiche letterarie. I suoi testi sono pubblicati su importanti riviste letterarie nazionali.