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Non sa da quanto è cominciata, giorno o mese non fa poi tanta differenza. Era il duemila e diciannove, comunque. La malattia di suo padre era evidente, lui certe volte non la riconosceva più. Così nel turbinio delle emozioni si domandava se, con la scomparsa dei ricordi, sarebbero state cancellate anche parti di sé intrecciate con lui.

Non si era resa conto che in quel momento aveva attivato un senso di mancanza. L’ombra dormiente proiettava fuori un desiderio indotto, dei tempi dell’infanzia. Cercare l’approvazione del padre. Ha cominciato a stare scomoda nella sua pelle, a vedere ogni reazione esterna come un sopruso, l’ingiustizia si faceva strada nei meandri della sua mente. Le stavano impedendo di ottenere ciò che meritava.

Reagiva all’attrito che sentiva verso la realizzazione del suo desiderio con maggiore convinzione, lavorava di più, si sacrificava, rinunciava al divertimento, lei era diventata ciò che le mancava. Lo stakanovista che si prendeva sulle spalle le responsabilità di tutti.

Però questo compito non veniva celebrato, nessuno le riconosceva l’impegno, la bravura, il valore, neanche il compenso. L’amarezza generava delusione, scontro, rabbia.

Lì, nel dolore della perdita, l’ingiustizia, il mancato riconoscimento, ciò che il mondo le doveva, si è amplificato. Sollevava la testa e riconosceva macchinazioni, inganni, parole false. Tornava a casa e ripensava agli atteggiamenti subdoli e meschini.

La rabbia ha cominciato a diventare il suo destino. Scattava per un niente. Soffriva, era immersa nella distruzione, colma di pensieri negativi.

Che ci fosse in lei qualcosa di malato? Così ha iniziato a informarsi e più leggeva di assertività, fiducia, talento più avvertiva un disagio. La sua aggressività veniva dalla paura. Paura di non valere.

È emerso un dolore vecchio, la critica, il giudizio, l’invidia, il continuo bisogno di approvazione. Quello che non sarebbe mai più stato colmato. Suo padre era solo una foto e parlare con una lapide non è gratificante. Perché le aveva fatto questo? Perché le aveva fatto credere di meritare e poi le aveva negato l’appoggio? Come poteva combattere da sola contro tutti senza l’investitura dall’alto? Perché l’aveva lasciata sola?

È stato in quel momento che ha incrociato i tarocchi. Davano risposte incomprensibili a pensieri intricati che si affollavano nella sua testa. Ieri è uscito l’appeso, colui che guarda le sue certezze da un altro punto di vista. Lei ha guardato per tutto il giorno, cieca. D’un tratto una risonanza ha vibrato. Ha chiuso gli occhi quando il parabrezza si è inondato di luce uscendo dall’ombra della strada alberata.

La lotta interiore è creata dalla parte bambina che si ostina a cercare l’approvazione del padre. Resiste a sé che cresce e si odia per questo. Si è guardata senza più sensi di colpa, senza vergogna, senza rabbia. E si è perdonata. Dallo specchietto ha visto il sorriso sincero e lo sguardo allegro. Il dolore è sparito.

C’è un seme nel buio di te stesso che sta facendo te, non cercare di capire. Ascolta il disagio, accogli il dolore. Ti porta verso chi sei veramente”. R.M.

Michela Santini