
Sibilla Aleramo, pseudonimo di Marta Felicina Faccio detta Rina (Alessandria, 14 agosto 1876 – Roma, 13 gennaio 1960), è stata una scrittrice, poetessa, giornalista femminista italiana. È ricordata per il suo romanzo autobiografico Una donna, in cui dipinge la condizione femminile in Italia …
Donna e poesia: Sibilla Aleramo
Siamo stati abituati, negli anni passati sui banchi di scuola, a credere che la letteratura “di valore” sia stata scritta solo da uomini. Tutti conosciamo Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni e Omero, ma probabilmente pochi sanno chi è la Comtessa de Dìa – la trovatrice provenzale che, con una modernità ante-litteram, ha raccontato l’amore nelle sue pieghe più disinibite. Le stesse scrittrici erano consapevoli di questo meccanismo, tanto che Mary Ann Evans, per evitare che le sue opere fossero catalogate come “letteratura per signore”, decise di assumere lo pseudonimo maschile di George Elliot. Se in epoche passate poesia e letteratura erano concesse alle donne in maniera marginale, nell’arco dei secoli alcune si inserirono nei grandi salotti letterari, andando ad animare dibattiti importanti e definendo nel dettaglio generi di scrittura specifici. È soprattutto dall’800 che le donne iniziarono essere riconosciute pari ai loro colleghi uomini. A livello internazionale è durante il Novecento che si registra la produzione più ricca per la poesia femminile, che vede alcune figure chiave e iconiche, ancora oggi di grande ispirazione. Le donne poetesse si sono distinte per la prospettiva d’indagine e lo spirito di osservazione con cui hanno descritto il mondo che le circondava, in un secolo complesso e difficile sia da un punto di vista letterario sia da un punto di vista sociale, che vedeva la donna agli inizi della sua emancipazione politica e culturale. Il loro sguardo verso il mondo non è centrale, ma osserva dai margini della società in cui sono rinchiuse come mogli e madri, prima che come poetesse.
Sibilla Aleramo è lo pseudonimo di Rina Faccio, un’autrice italiana, nata a Alessandra, in Italia, il 14 agosto 1876 e morta il 13 gennaio 1960 a Roma. Aleramo dice che si sente come se lei aveva vissuto tre vite. “La sua ‘vita prima’, come madre e moglie, è delineata nel suo romanzo Una Donna. Durante la sua ‘seconda vita’ lei fu volontaria in un rifugio per i poveri a Roma gestito dall’Unione Femminile ed era attiva in organizzazioni femministe. La sua ‘terza’ vita consisteva nei 30 anni che ha trascorso con il suo lavoro di scrittrice. Da giovane ha sofferto grandi dolori e perdite. Nonostante gli eventi negativi della sua vita, come la forte depressione della madre, la violenza sessuale subita ( che la costrinse a sposare il suo seduttore, dal quale ebbe un figlio, Walter, che poi abbandonò e non riuscì mai più ad avere in custodia) e il tentativo di suicidio, coltivò sempre la scrittura e riversò la sua vicenda nel romanzo “Una donna”, uno dei primi libri femministi apparsi in Italia.
Ha compilato diari, spedito e ricevuto lettere e scritto poesie e romanzi tanto da poter contare circa 30mila fogli; ha attraversato generazioni diverse della storia letteraria nazionale da D’annunzio a Pasolini, è stata una delle amanti del “superfascista” Julius Evola e poi iscritta al Pci di Togliatti, è stata anche l’unico amore di Vincenzo Cardarelli e ha avuto (fra le tante) una storia tormentatissima con Dino Campana nel periodo della Grande Guerra. La stessa Aleramo diede testimonianza dei suoi amori (anche omosessuali) nelle sue opere, a cominciare dal poeta Felice Guglielmo Damiani («…il tuo viso era chiaro e fiamme erano i tuoi capelli e bello trovai per la prima volta l’ardore virile…»), e proseguendo col siciliano Salvatore Quasimodo («…l’amore era stato per noi una sorda vana battaglia…»), passando anche per Lina Poletti e probabilmente Eleonora Duse, un giudizio compilato forse anche per contrastare pareri certo poco lusinghieri come quelli di Giuseppe Prezzolini che ebbe a definire Sibilla Aleramo come il lavatoio sessuale della cultura italiana. Sibilla fu molto libera ed emancipata, soprattutto innamorata dell’amore che esaltò nel suo libro, Amo dunque sono. La Aleramo fu una femminista convinta (partecipò alle lotte per il voto alle donne, per la pace, l’istruzione e contro la prostituzione e l’alcolismo). A sessant’anni visse la sua ultima autentica storia d’amore con Franco Matacotta, uno studente di quarant’anni più giovane: «Odore dei tuoi vent’anni che su te respiro ben desta e l’aurora t’è intorno, sei tu stesso aurora», scrisse per lui.
Fu un amore tempestoso, brevissimo e pieno di violenza: si picchiavano, si avvinghiavano, si lasciavano e si scrivevano lettere di fuoco e poi si insultavano, se ne andavano e ancora si supplicavano di tornare. Quello tra Sibilla Aleramo e Dino Campana fu quel che forse oggi chiameremmo amore tossico. Il loro primo incontro avvenne nel 1916. Sibilla Aleramo era nota nei circoli culturali fiorentini, milanesi e romani. Aveva già pubblicato Una donna, testo proto-femminista in cui raccontava, non troppo velatamente, com’erano andate le cose nella sua vita. Lui, un poeta più giovane di dieci anni sospeso tra l’esaltazione nevrastenica e l’autodistruzione che infine lo consumerà.
Le prime settimane del rapporto d’amore recano ad entrambi sentimenti nuovi, emozioni mai prima vissute con tanta intensità, ma presto la follia del poeta si manifesta col suo carico di dolore e di violenza. E se la malattia che lo tormentò è la motivazione sostanziale delle sue ripetute violenze, pure, la manifestazione di esse sulla donna amata, accusata di infedeltà e colpevolizzata per le precedenti relazioni, ha la forma storica del sentimento di proprietà cieco e violento in tanti rapporti uomo/donna che, ancora oggi nel nostro Paese, e non solo nel nostro Paese, fa ogni giorno nuove vittime. All’inizio lei sopporta, tuttavia, il ripetersi delle violenze la convince dopo alcuni mesi che la situazione è perduta, che la storia va troncata. Ama ancora, lo dichiara nelle lettere a lui e ad amici, e la sua sincerità, il suo dolore, il suo rimpianto sono evidenti, ma ha ampie risorse, sa difendersi emotivamente e comprende che in un caso simile l’unica soluzione è interrompere il rapporto. Nel 1918, su indicazione medica, Campana entrava nel manicomio dal quale non sarebbe mai più uscito, morendovi nel 1932.
“Rosa calpestava” che reca la data dell’8 settembre 1916, scritta da Sibilla e spedita al suo amato Dino, apre uno scenario sconvolgente sulle atrocità cui ella era stata sottoposta.
ROSA CALPESTAVA
Rose calpestava nel suo delirio
e il corpo bianco che amava.
Ad ogni lividura più mi prostravo,
oh singhiozzo invano di creatura.
Rose calpestava,
s’abbatteva il pugno
e folle lo sputo
sulla fronte che adorava.
Feroce il suo male
più di tutto il mio martirio.
Ma, or che son fuggita,
ch’io muoia,
muoia del suo male.
* Davvero una vita notevole quella di Sibilla Aleramo, intensa, colma di passione, amori ma anche violenza. Su tutto s’impone questa figura di donna, forte e volitiva, che non si lascia abbattere dagli eventi. La stessa determinazione che la porta ad emergere anche in campo letterario. In bene e in male ha vissuto come voleva pagando anche le conseguenze, forse in un continuo tentativo di rivalsa per il tremendo dolore subìto da ragazzina.