Rotto il fidanzamento con il cugina, non fu difficile per il padre di Eleonora, don Clemente Fonseca, trovarle un nuovo corteggiatore, grazie anche alla cospicua dote che la figlia avrebbe portato.

La scelta ricadde su un ufficiale dell’esercito borbonico, Pasquale Tria de Solis, di 44 anni, appartenente alla piccola nobiltà napoletana, che lei accettò, spinta più dal desiderio di compiacere il padre che dal desiderio di avere un marito e una casa sua .

Si sposarono nel 1778 ed Eleonora, venticinquenne, si trasferì a casa del marito, in una famiglia priva di qualsiasi velleità culturale, estremamente cattolica, ma con una religiosità bigotta, e che amava vivere molto al di sopra delle proprie reali possibilità economiche.
Iniziò per la poetessa un periodo molto buio, accanto a un marito rozzo, incolto, geloso dei suoi successi letterari e dei suoi rapporti con più famosi intellettuali dell’epoca. Le fu impedito di proseguire i suoi studi e di mantenere i suoi contatti epistolari. L’uomo bruciò addirittura alcuni libri in inglese e francese, sostenendo che, siccome provenivano da paesi stranieri, dovevano sicuramente essere “ereticali” e, come poi ricordò la donna, “affermando che egli come marito poteva e voleva guidare le mie azioni e la mia coscienza.”
Dovette anche sopportare la convivenza forzata con le sue quattro cognate zitelle e pettegole, (una delle quali soggetta a seri disturbi mentali), estremamente gelose del fratello.
Queste si trasformarono nelle sue carceriere, invidiose della sua superiorità culturale, che per loro era soltanto un “darsi delle arie”. Erano sempre pronte a interferire e non di rado le sottraevano la corrispondenza con gli intellettuali del tempo (in special modo con l’abate Fortis), consegnandola al fratello. Queste lettere rubate furono poi allegate agli atti del processo di separazione come prova della sua “infamità”.

Nello stesso anno diede alla luce un figlio, Francesco che morì circa otto mesi dopo durante un’epidemia di peste. I Solis ne incolparono la madre, accusata di averne causato la morte perché cercava di mettere in pratica nuove tecniche di allevamento apprese dai libri. Francesco sarebbe restato il suo unico figlio perché, dopo di lui, ebbe due aborti, risultato della crudeltà fisica e morale del marito, che tentò persino di ucciderla spingendola da un balcone.

Queste tragedie portarono alla creazione di molte delle sue opere più importanti, poiché la poesia le forniva uno sfogo per i drammi della sua vita: scrisse cinque sonetti in memoria del figlio, rivelando profondo dolore e angoscia, e un’ Ode rammaricandosi per i suoi aborti. Questo componimento è davvero notevole per l’epoca perché la poetessa, appassionata di scienze naturali, offrì un resoconto dettagliato della sua tragica esperienza, elaborata con terminologia medica e metafore neoclassiche.
Descrisse i dieci giorni in cui non sentiva più il bambino muoversi dentro di lei, la rottura delle acque, la mancanza di doglie e l’intervento del chirurgo per estrarre dall’utero il feto morto.

Nel frattempo il marito aveva iniziato una relazione con una certa Angela Veronica, che esercitava il mestiere di “cuffiara”: era solito portarsi a casa sia lei che la sua giovane figlia, ospitandole per intere giornate.

La vita coniugale fu una tortura per Eleonora, così suo padre prese una decisione vedendo i maltrattamenti subiti dalla figlia e l’uso improprio della sua cospicua dote, Pasquale l’aveva infatti dilapidata ,senza nemmeno concederle il donativo annuo pattuito per “lacci e spille”, il cosiddetto “spillatico” , quelle piccole somme distribuite alle donne da spendere per l’acquisto di beni personali mentre i mariti avevano il controllo totale di tutte le ricchezze familiari, comprese le doti. Don Clemente Fonseca si rivolse pertanto al tribunale per chiedere il ritorno a casa della figlia.

In sede processuale, a prova delle presunte infedeltà della moglie, Pasquale Tria presentò le lettere che le aveva sottratto, soprattutto quelle inviatele dal geologo veneto abate Alberto Fortis, il tipico carteggio tra intellettuali in cui traspariva il dolore del Fortis per le sevizie che la poetessa era costretta a subire da parte del marito.

Dopo lunghi procedimenti di separazione, il loro infelice matrimonio terminò nel 1785 con il divorzio dei due ed Eleonora poté finalmente tornare alla casa paterna, perdendo tuttavia il lavoro da bibliotecaria della regina, perché Maria Carolina cominciò a considerarla troppo impulsiva.

Purtroppo i suoi guai non erano ancora finiti: in quel periodo il padre morì e lei si ritrovò sola, in cattiva salute e in gravi difficoltà economiche, tanto da dover chiedere un sussidio mensile allo Stato. Quelli furono anni di studio sempre più intenso e frenetico, in cui il distacco dalla sua protettrice, la regina, divenne sempre più profondo, influenzato anche dal clima politico internazionale.

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