Rangiroa, Bora Bora, Morea,Tahiti

Appunti di un viaggio in Polinesia

di Luciana Benotto

Sulla lunga spiaggia di cipria bianca siede, all’ombra delle slanciate palme da cocco, un uomo di mezza età intento a forare conchiglie che si trasformeranno in collane e bracciali. Mi fermo a osservare il suo paziente lavoro, lui alza gli occhi, sorride e mi invita a sederglisi accanto. Nei capelli grigi, increspati come le onde dell’oceano, ha un frangipane bianco. Mi racconta di chiamarsi Niah e di aver vissuto tutta la vita come un vero polinesiano, seguendo i ritmi della natura e godendo dei suoi doni: la manioca, il taro, l’albero del pane, l’igname, le patate dolci, il bambù e il pandano con cui ha ricoperto il tetto della sua casa e, naturalmente, i pesci che a branchi multicolori fluttuano in quelle acque di cristallo turchese.

I due figli maschi non hanno seguito le sue orme, se ne sono andati a Papeete, nella civiltà; lui c’è stato una sola volta e gli è bastato: “Troppo caotica” dice. Intanto vedo avvicinarsi ondeggiando sui fianchi, un’adolescente che indossa un pareo dalle tonalità fucsia e una collana di tiare, le profumatissime gardenie emblema di questo paradiso nato dal mare. 

È molto aggraziata nei movimenti, ma soprattutto è davvero bella con quella sua fluente chioma ebano.

“Si chiama Tihare. È mia figlia, l’ultimo fiore rimastomi. La sera danza il tamurè per i turisti insieme alla compagnia di ballo locale, ma un giorno se ne andrà anche lei, è troppo graziosa per rimanere in questa isola selvaggia.

Rangiroa è veramente selvatica: un atollo lungo 70 km. Che si leva appena sulla superficie marina, un anello di corallo colonizzato dalla vegetazione tropicale, al cui interno si trova una laguna così grande che potrebbe starci l’isola di Tahiti tutta intera. Uno spettacolo: da una parte l’oceano e dall’altra questa specie di mare interno, separati solo da una stratta striscia di sabbia aggrappata al cratere sommerso del vecchio vulcano spento. Niah conosce l’isola anche nelle parti più remote e così arrotonda le sue modeste entrate accompagnando i turisti a visitane i punti più caratteristici: la spiaggia di sabbia rosa, una nuvola di bambagia lambita dal verde morbido del mare. La laguna blu, un atollo nell’atollo, la foresta di coralli pietrificati, un tempo nascosta nelle profondità marine e poi emersa a seguito di un sollevamento tellurico.

La foresta di corallo è un ambiente più unico che raro: ci si arriva dopo un’ora e mezza di barca, bagnati o asciutti a seconda dei posti a sedere: nel centro della laguna non sempre si riesce a cavalcare le onde e a volte arrivano certe secchiate! Però si sta in buona compagnia. Branchi di delfini che giocano tra i flutti blu, straordinari pesci volanti che balzano improvvisamente fuori dall’acqua, forse per vedere il mondi di sopra e raccontare poi  a quelli che non si azzardano a mettere fuori il naso, come son fatti gli uomini. Giunti sul posto si cammina per un centinaio di metri all’interno dei un corso d’acqua che porta ai coralli, mentre esili castagnole dalle bellissime livree guizzano tra le gambe, mentre le tridacne sorridono con le loro labbra verdi, blu, gialle o marroni, mentre i ricci neri muovono impercettibilmente i loro lunghissimi aculei. E che dire dell’incontro con la piccola murena che mi guarda curiosa mentre fa la guardia alla sua tana

Continua…

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