Idillio

Io son pallida e bruna. Un amor fiero
svela l’oscura mia pupilla mesta,
fredde le mani, candida la vesta,
alta e sottile, il passo ognor leggero.
Io son di saracino sangue ardente,
ed egli è di gentil sangue latino,
ride negli occhi suoi, dolce, opalino,
il riflesso dei mari d’Oriente.
Viviam solo di sogni, e benché
il riso mai ci rischiari i pallidi sembianti,
una vita scorriam di paradiso
io di lui, ei di me, fervidi amanti.

*

da Due Novembre

Tra le vecchie pagine del mio libro di preghiere
tra le pagine che gemono le preghiere dei morti,
a cui il tempo ha dato la tinta eburnea
de le sere autunnali,
io conservo appassita una piccola viola del pensiero.
Ogni anno nella notte misteriosa dei defunti
Quando i bronzi cantano nell’oscurità procellosa e silente
narrando di pianure sconfinate biancheggianti
a la luna,
ove le generazioni da secoli infiniti
dormono nel riposo del nulla, sotto cespugli di rose nere
su cui non trema mai bacio di brezza o canto di
allodola,
io leggo le preghiere dei morti.
Tu mi apparisci allora
piccola viola dormiente
tra le pagine color dell’avorio
e richiami il mistico
sguardo de lo spirito mio.
Oh! Nei campi grigi della mia memoria
nei campi pallidi come le pianure de la morte
la tua visione, fior di passati aprili,
un tremito desta di lontani, lontani ricordi.
Attraverso il vaporoso spazio del tempo
tra i barlumi cinerei e vaganti del passato
tu mi rammenti la mano bianca e gentile
che ti pose tra le pagine del mio libro di preghiere.
Ora la mano bianca e gentile
è là nella pianura dei morti, sotto le rose nere,
sotto la luce immobile e cerea de la luna,
ed io penso a lei nella notte dei defunti.
Tu mi ricordi il mio sogno perduto,o viola,
il mio sogno lontano, il mio morto sogno,
il primo, il sogno ultimo forse de lo spirito mio.
Piccola viola morta,
come il primo mio sogno
d’amore,
tu sola mi resti.

*

Nel pomeriggio

E sogni dolci, come il miele, appresta
il tiepido meriggio: su l’opale
del cielo soavissimo, a la siesta
in vaghi sogni lo spirito sale,
e nell’azzurra immensità s’arresta
cullato da la strana e musicale
voce d’una lontana, alta foresta
gialla, sorrisa dal sole autunnale.
E’ veglia o sonno? Ogni pensiero è mite,
ogni cosa è dolcezza suadente,
è delicata, fine voluttà;
e il desiderio d’ignota, infinita
estasi chiude gli occhi dolcemente
come pel sonno de l’eternità.

*

Da Vertex

Vorrei lassù, lassù nei monti eccelsi,
perduti ne le nebbie occidentali,
tra le quercie una torre solitaria
di pietra grigia.
Vorrei viver lassù, bianca eremita,
sola coi venti, il sole e le procelle,
per obliare il triste mio passato
e l’avvenire: per scordare le febbri de la vita
e gli stolti miei sogni vagabondi…
per obliare i tuoi occhi fatali,
o eletto mio!

*

L’Ave in montagna

Ave, o Santa Maria de la Montagna,
che sogni ne la povera chiesetta,
mentre di fuori il bosco, dove stagna Il vespro,
l’alba de la luna aspetta.
Ave, o Maria: di chi muore e si lagna
giunga il singulto sino alla tua vetta,
sino al tuo sogno, sino a la tua magna
misericordia, e in Essa si rimetta.
E tu provvedi: l’alta pace arcana
ch’ora inspira la triste mia preghiera
piova su tutti eguale, su la stanca
testa dei vegli come su la bianca
fronte de le fanciulle; e piova intera,
con piena grazia, a un’Anima lontana.

*

La notte

Ne l’alta notte io vigilo i lontani
monti assopiti nel sogno lunare:
il cielo limpidissimo è un gran mare
d’innocenza e di pace. O sogni vani
de l’oscurato mondo, empi e profani
sogni, ove siete? Qual da sacro altare
sento aromi purissimi esalare
verso i puri astri dai dormienti piani,
e a questa solitaria e radiosa pace
l’alto mistero il cuore invola.
Quando l’anima pura e disdegnosa
vede il mal trionfare e la menzogna,
allora è altera di sentirsi sola
come aquila, ed in sé raccolta, sogna.

*

Miniatura

Il vespero vermiglio,
un rogo ad occidente.
Su questo sfondo ardente
s’erge un sol ramo verde
di ciliegio e la luna
nuova fra lo splendente
rado fogliame: niente,
nient’altro: ma una bruna
testa sul ramo verde
s’appoggia ed il lucente
sguardo sogna e si perde
nel vespero vermiglio.

*

Nuvole viaggianti

Ricomincia l’autunno, il tiepido
autunno sognante: il cielo
è argenteo, glauco argento
all’orizzonte; lontananze improvvise
d’acque, di verdi pianure, pallide
si spalancano sul tenero occidente;
passano erranti nuvole, purpuree, a brani,
come piume d’enormi uccelli rossi. Tramonta Venere.
Tutto è mistero in questa misteriosa
stagione; la glauca sera, il vago
odor dei crisantemi; le rosse nuvole
erranti, la tremula illusione
dell’acque e delle verdi pianure all’occidente;
il tenero pensiero, occulto, donato a un lontano
cuore che per noi struggesi
in disperato amore; pensier che le viaggianti nuvole
rosse accompagna, e mai, giammai, com’esse
al suo destino arriva.

*

Le ricordanze

Solo un mattino, il primo, allo svegliarmi,
(ricordo era ancor buio)
una tristezza infantile mi prese: rintoccava
nell’ora antelucana una sottile
saltellante armonia di campanella,
or vicina or lontana. Era una prima messa? Non so; mi parve
la lontana squilla dell’umil chiesa ove fanciulla
ascoltavo la messa; e un’infinita catena di ricordi,
ecco, si svolse entra di me a quel suono. Sentii
tutta L’immensa lontananza del passato
e della patria, e piansi. Tu sentisti
cader sovra il tuo viso coi miei baci
le mie ultime lagrime, e adorasti,
intendendolo tutto, il mio dolore.

*

Da Il presente

Morto è il passato, ed il presente
è come un mattino di maggio, azzurro e puro:
e noi viviam come fanciulli inconsci
dell’avvenir, che sostano a scherzare
in un lembo di via fiorita. Oh, forse,
dietro la verde siepe è un campo sparso
di roccie e spine; dietro l’arco puro
dell’orizzonte forse qualche nube veleggia.
A tutti, lo sappiam, la vita serba, sfinge
perversa, i suoi veleni; e noi pure,
noi pure certamente, essa non scorderà. Che vale?
È dolce, bello qual fior questo presente, e noi,
noi ne suggiamo tutta la dolcezza; e tutta
la bellezza ne godiamo.

*

Grazia Deledda nasce a Nuoro nel 1871. Dal padre, agiato possidente e poeta vernacolare, eredita il talento e la passione per la scrittura. La sua formazione culturale si ferma alla quarta classe elementare e poi prosegue privatamente, prima sotto la guida del professor Pietro Ganga (docente di lettere italiane, latine e greche e conoscitore di varie lingue straniere) e successivamente da autodidatta. La volontà di scrivere, in lei, sgorga dall’urgenza di dar voce alla condizione femminile della chiusa società in cui vive e in cui l’ostinato aggrapparsi alle tradizioni patriarcali non riesce più a reggere l’urto con le istanze delle nuove generazioni. Lo scontro fra questi due mondi diventa quindi il sottofondo di moltissime delle sue narrazioni. Il suo esordio come scrittrice avviene verso la fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, quando i suoi racconti vengono pubblicati su alcune riviste femminili. L’approvazione di molti eminenti letterati la impone presto sul panorama culturale italiano, dove ancora oggi continua ad occupare un posto di spicco. E’ la prima donna italiana a vincere il Nobel (1926). Muore a Roma nel 1936 per un tumore al seno. La sua ricca produzione conta poesie, novelle, lettere e soprattutto romanzi: tra i più celebri ricordiamo Dopo il divorzio (1902) Canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915) Il Dio dei viventi (1922). Meno conosciuti delle sue opere di narrativa, i suoi versi raccontano prevalentemente l’amore per la sua terra, fondendo cuore e natura in un unico afflato. Si è spesso cercato di catalogare il suo stile letterario, ma con esiti controversi, a causa della confluenza in esso di correnti diverse ( Verismo, esistenzialismo, Decadentismo, tardo Romanticismo) e di tematiche varie e complesse (i problemi sociali, la lotta fra bene e male, l’amore, il dolore, la morte, l’incapacità dell’essere umano di dominare il fato e le altre forze superiori), che lei rielabora in modo del tutto personale.

Donatella Pezzino

Nell’immagine: Grazia Deledda (foto dal web)