Finalmente sono riuscita a guardare su Netflix il film “Le nuotatrici”. Dico finalmente perché guardare un film basato su una storia vera, seppur bellissimo e commovente, è tosta. Specialmente se la trama tocca argomenti sensibili come la guerra in Siria e le traversate dei rifugiati. Anche se la visione sarà sicuramente educativa, ti aspetti come minimo qualche cazzotto in pieno stomaco. Cazzotti che tutti dovremmo prendere, insieme a questa società civile, che troppo spesso confonde le scelte politiche con le scelte umane.

Detto questo, sono contenta di aver trovato il momento giusto per vederlo, e ora consiglio a voi tutti di farlo se ne avete la possibilità e non l’aveste ancora fatto.

La pellicola parla della storia delle sorelle Mardini, Yusra e Sara che, lasciata la Siria dove sono nate per sfuggire alla guerra, affrontano un viaggio pericoloso verso l’Europa. Prima raggiungono Istanbul, poi da lì affrontano la traversata dell’Egeo su un gommone malmesso e affollato; durante il viaggio si distinguono per il loro coraggio, scegliendo di proseguire a nuoto quando il gommone imbarca acqua e subisce un guasto al motore. Riescono nonostante tutto nell’impresa; arrivati a Lesbo, un’isola della Grecia, tra mille difficoltà e trafficanti senza scrupoli, le due sorelle arrivano in un centro di accoglienza in Germania.

Yusra, la più talentuosa delle due sorelle nel nuoto, riprende anche ad allenarsi, riuscendo a partecipare alle Olimpiadi nella squadra dei rifugiati. Insomma, anche nella profonda tristezza di una guerra ingiusta (le guerre lo sono sempre), nel dramma dei rifugiati, persone pronte alla sofferenza e a rischiare la vita per cercare un po’ di legittima felicità, c’è la lotta tenace alimentata dalla speranza che giunge a realizzare il sogno di una ragazza.

Film ben fatto che ha riscosso successo di critica e di pubblico, dove il cinema veramente sensibilizza e lo fa tra schiaffi e carezze, perché bisogna sempre avere gli occhi e il cuore aperto.

Ultimo cazzotto: Sara, la sorella maggiore, rimane talmente toccata dalla loro esperienza che decide di andare a Lesbo ad aiutare i tanti rifugiati che sbarcano a migliaia, come ha fatto lei e sua sorella. Ora rischia fino a 20 anni di carcere per l’accusa di coinvolgimento in traffico di essere umani e riciclaggio.